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Architettura in calcestruzzo

Tra le numerose iniziative organizzate all’interno del MADE IN CONCRETE, molte quelle dedicate alla valorizzazione del calcestruzzo attraverso la descrizione delle più belle opere realizzate in calcestruzzo nell’architettura.
Un’occasione è stata la presentazione del libro di Anna Faresin, Architettura in calcestruzzo. Soluzioni innovative e sostenibilità, avvenuta lo scorso 19 ottobre presso lo Spazio Concrete del MADE Expo a Milano, nell'ambito del progetto MADE in CONCRETE.
L'evento è stato introdotto dall'autrice, che ha poi lasciato la parola al prof. ing. Nicola Sinopoli (Ordinario di Tecnologia dell'Architettura, Università IUAV di Venezia), per la presentazione del volume, e di cui riportiamo una recensione del libro.
In seguito sono intervenuti tre grandi protagonisti del panorama architettonico internazionale per illustrare alcune loro significative opere in calcestruzzo realizzate in Italia: l'arch. Marco Casamonti (Studio Archea, Firenze), l'arch. Marco Piva (Studio Marco Piva, Milano) e l'arch. Cino Zucchi (Cino Zucchi Architetti, Milano).
Il libro è stato presentato anche dal prof. arch. Enrico Sicignano (Ordinario del Dipartimento di Ingegneria Civile, Università degli studi di Salerno) il 25 ottobre nell'ambito del II Congresso internazionale Concrete 2012 svoltosi a Termoli, incentrato sul tema Il calcestruzzo per l'edilizia del nuovo millennio. Progetto e tecnologia per il costruito, e organizzato dalla Facoltà di Ingegneria della Repubblica dell'Uruguay e l'Instituto de Ciencias de la Construccion Eduardo Torroja di Madrid.


Il libro di Anna Faresin incomincia come, di solito, iniziano tutte le narrazioni che si rispettano: “a distanza di poco più di cent’anni dall’impiego del calcestruzzo armato…”. E proprio questo inizio mi ha fatto pensare alla strana nascita di questa formidabile risorsa costruttiva e al singolare ruolo che i giardinieri hanno giocato nell’evoluzione dell’architettura di questi ultimi due secoli. Penso ai giardinieri che hanno usato la rete da pollaio per rinforzare la malta e costruire vasi da fiori più leggeri e resistenti e ai loro colleghi che hanno usato l’acciaio e il vetro per fare serre sempre più grandi per riparare le piante che arrivavano in Europa dai lontani mari del sud. E penso agli ingegneri e agli architetti che si sono subito impadroniti di queste loro invenzioni.
Anche Anna Faresin si impadronisce del calcestruzzo e ci costruisce sopra un’opera monumentale.
Siamo di fronte a un libro che comincia come, doverosamente, incominciano tutti i libri sul calcestruzzo che conosciamo. Ecco allora che troviamo trattate le caratteristiche, gli impieghi, le formulazioni tradizionali e quelle più attuali, analizzate con un atteggiamento minuzioso e scavate a fondo. Ma troviamo anche - vexata quæstio, come si diceva una volta e che di solito i libri sul calcestruzzo tendono a sorvolare- la tematica relativa alla sostenibilità e all’impatto ambientale di questo materiale insieme prezioso e controverso. E qui vediamo da subito la qualità del libro: nessun trionfalismo e nessuna censura nel mettere in luce pregi e difetti.
A questo punto, di solito, e con qualche esempio che documenta le opere di Perret, Torroja, Nervi, Morandi e Candela, finiscono quasi tutti i libri sul calcestruzzo. Se non ci credete, andate a controllare in libreria.
Niente di tutto questo nel libro di Anna Faresin. Qui potremmo dire che il libro comincia e da qui in avanti, e per quasi duecentocinquanta pagine, entriamo nel mondo fascinoso dell’innovazione. Ecco allora documentati i “nuovi” calcestruzzi che la ricerca ha messo a disposizione dell’architettura: il calcestruzzo autocompattante, quello ad alte prestazioni, quello a ritiro contrastato, quello basato su aggregati provenienti dal riciclo, quello fibrorinforzato, il calcestruzzo fotocatalitico e quello leggero strutturale, quello proiettato, il calcestruzzo facciavista, quello colorato e quello texturizzato.
Per ciascuno di questi troviamo la trattazione meticolosa delle caratteristiche del materiale, delle prestazioni caratteristiche, delle tecniche di produzione e posa e delle modalità applicative. Ma non basta: per ciascuno vengono documentate due opere di architettura, quasi a voler dimostrare che non esiste più un cemento armato buono per tutte le stagioni, ma che ogni architettura che voglia sviluppare una sua peculiare riflessione compositiva trova il “suo” calcestruzzo che ottimizza l’effetto voluto. Arrivando, talvolta, a pretendere dall’industria la formulazione di un materiale totalmente nuovo, un materiale quasi “su misura”.
Da questa sezione del libro impariamo, ad esempio, che Grafton Architects per ottenere una buona qualità nel progetto per l’Università Bocconi a Milano, caratterizzata da casseforme complesse che mai avrebbero consentito un’efficace vibrazione, ha dovuto ricorrere a un calcestruzzo autocompattante: l’effetto si vede sulle superfici perfette che simulano la sovrapposizione di blocchi ciclopici. Impariamo anche che la magia dei 2711 parallelepipedi del Memoriale dell’Olocausto di Peter Eisenman di Berlino, nonostante l’impiego di additivi costosissimi e sofisticati, sta lottando in modo non troppo brillante con il tempo che passa. Che l’impiego del cemento catalitico che Richard Meier ha voluto per la sua chiesa Dives in Misericordia non è solo un capriccio o una curiosità da circo equestre usata quasi per capriccio, ma che anche altri architetti, Galfetti ad esempio, hanno usato questo brevetto della nostra Italcementi per ottenere calcestruzzi che non si sporcano se esposti ad avverse condizioni ambientali. La possibilità di colorare il calcestruzzo in pasta permette oggi di evitare l’impiego delle pitturazioni superficiali che hanno fatto grande l’Unité di Marsiglia, ma che non invecchiano in modo brillante per ottenere effetti un tempo sconosciuti, come nel Minnaert Building di Utecht.
Ci sono tanti calcestruzzi oggi, ci dice Anna Faresin, e ogni architettura può scegliere da una scatola degli attrezzi ormai sterminata. Soprattutto l’architettura ha trovato il colore che ha fatto dimenticare la tristezza del grigio. Ecco allora il Forum Building che Herzog & de Meuron hanno realizzato a Barcellona, che è riuscito a realizzare le sue superfici leggermente corrugate che contrastano con i tagli riempiti di vetro a specchio grazie ad un calcestruzzo spruzzato ad alta pressione su pannelli metallici, colorato in pasta con pigmenti acrilici “blu Mirò”. E vediamo che le abitazioni sociali di Chipperfield del quartiere Emv Villaverde di Madrid hanno impiegato per i pannelli di facciata il calcestruzzo fibrorinforzato Grc colorato in quattro tonalità di ocra.
Questa parte del libro è la più interessante e innovativa, perché sfata una volta per tutte l’idea, così radicata nell’immaginario popolare e anche in quello tecnico, che il calcestruzzo armato sia solo dighe, ponti e speculazione edilizia. Il lavoro di Anna Faresin restituisce finalmente il calcestruzzo all’architettura.
Ma non è finita, dal momento che un’altra sezione, tratta diffusamente le prospettive evolutive: i materiali cementizi nanostrutturati, le superfici tattili, i calcestruzzi traslucidi, i cosiddetti organic concrete, quelli tessili, quelli integrati con la vegetazione e le nuove forme di prefabbricazione. In questo campo abbiamo molta ricerca, le prime applicazioni sperimentali anche se, ancora, poca architettura: siamo nel mondo rarefatto dell’innovazione, dove vengono inseguite, insieme, le prestazioni meccaniche, quelle di durabilità e quelle estetico percettive e dove la ricerca sul cemento, che per anni ha avuto gli ingegneri come interlocutori privilegiati, deve fare oggi i conti con una architettura, che, se per decenni ha visto il calcestruzzo come un semplice accidente da delegare allo strutturista di turno, oggi lo riscopre come materiale dotato di espressività nuove e sconosciute.
Il libro di Anna Faresin si conclude con due ampie sezioni dedicate la prima ad alcune architetture emblematiche realizzate nel mondo e in Italia e la seconda dedicata a discutere sulle multiformi potenzialità del calcestruzzo che si sono esplicitate in una moltitudine ormai sterminata di progetti di grande qualità.
Infine, a conclusione del volume, ritorna il tema del restauro e della conservazione, un tema che costituisce, insieme un tallone d’Achille e una grande sfida per la ricerca scientifica e industriale.