Agibilità degli edifici: metamorfosi in atto
L’abitabilità (oggi agibilità) – atto che condiziona l’usabilità degli edifici – è stata oggetto di ripetute attenzioni del Legislatore e del Giudice a motivo della sua mutevole natura e funzione non sempre ben compresa dagli stessi operatori.
Con una ricostruzione di ciò che è stato e con uno sguardo al futuro, l’Autore ne esamina le ulteriori possibili evoluzioni che ne stanno meglio definendo le finalità di garanzia per l’utente finale del processo edilizio.
L’abitabilità/agibilità: storia di una metamorfosi
L’abitabilità/agibilità è forse uno degli atti che ha subìto nel tempo la più radicale metamorfosi amministrativa quanto a natura giuridica, contenuti e finalità.
Esaminiamoli in una ricostruzione cronologica.
Sulla natura:
1934 – l’abitabilità era un’“autorizzazione” espressa
L’abitabilità nasce come un’autorizzazione da rilasciarsi dal Podestà (poi Sindaco) imposta dall’articolo 221 del R.D. n. 1265 del 27 luglio 1934 secondo il quale “Gli edifici o parti di essi indicati nell'articolo precedente non possono essere abitati senza autorizzazione del podestà, il quale la concede quando, previa ispezione dell'ufficiale sanitario o di un ingegnere a ciò delegato, risulti che la costruzione sia stata eseguita in conformità del progetto approvato, che i muri siano convenientemente prosciugati e che non sussistano altre cause di insalubrità.”
Siamo ante legge urbanistica fondamentale, quando ancora l’autorizzazione (licenza) edilizia era dovuta solo se prevista dalla regolamentazione locale e vigeva l’articolo 220 dello stesso R.D. n. 1265/1934 che recitava: “I progetti per le costruzioni di nuove case, urbane o rurali, quelli per la ricostruzione o la sopraelevazione o per modificazioni, che comunque possono influire sulle condizioni di salubrità delle case esistenti debbono essere sottoposti al visto del podestà, che provvede previo parere dell'ufficiale sanitario e sentita la commissione edilizia”.
1994 - Da autorizzazione e a certificazione (anche con silenzio- assenso)
Il 22 aprile 1994, con il DPR n. 425, articolo 4, l’“autorizzazione” viene convertita in “certificazione” ottenibile anche con “silenzio-assenso”.
Che non è una questione di nome, ma di sostanza.
Autorizzazione significa che la Pubblica Amministrazione, verificata l’esistenza dei presupposti – “autorizza”, cioè consente l’“uso”; certificazione significa che l’“uso” è di per sé consentito qualora sia verificata l’esistenza dei presupposti. E’ una dichiarazione di presa d’atto (un po’ come il certificato anagrafico). E’ però ancora un atto abilitativo (di norma espresso, ma anche implicito acquisibile per autocertificazione.).
2001 – il cambio di nome: da abitabilità ad agibilità
Con la prima stesura del Testo Unico dell’Edilizia rimane una certificazione anche se cambia nome: non più “abitabilità” ma “agibilità”.
La modifica si rese opportuna per dirimere una distinzione lessicale di prassi che (pur senza espresso riferimento legislativo) soleva definire “abitabilità” l’atto inerente le residenze e “agibilità” quello per le altre destinazioni.
Dal punto di vista sostanziale (che è quello che qui interessa) era solo un chiarimento e un’unificazione lessicale di due terminologie equivalenti, visto che non esistevano differenze sostanziali o procedurali, ma la questione fu motivo di una disamina giuridica tanto raffinata sul piano accademico, quanto sterile sul piano pratico (una questione di “lana caprina” per dirla in volgare: una questione di nomen ma non di sostanza).
2016 - Da certificazione a “comunicazione di parte”
Nel 2017 – con il d.lgs.25.11.2016, n. 222 (entrato in vigore l’11.12.2016) - cambia però sostanzialmente natura e diventa una comunicazione di parte definita dall’articolo 25 come “Segnalazione Certificata di Agibilità” volgarmente citata come s.ce.a. o anche s.c.agi. (ancora non si è trovato un acronimo condiviso da tutti i commentatori).
E qui l’innovazione è sostanziale perché la “certificazione” perde la connotazione di atto amministrativo per declassarsi a mera comunicazione asseverata.
Per la cui “certezza giuridica” sorgono tutte le problematiche e le cautele di cui abbiamo già ampiamente dissertato in InGenio: 08.11.2022 – “Semplificazione, certezza giuridica e involuzioni burocratiche”. Aspetto non ininfluente per chi vuole avere contezza dello stato di salute di un edificio da acquisire.
Sul contenuto
Progressivamente nel tempo si assiste ad un cambio di contenuto anche se non sempre in corrispondenza dei cambi di natura giuridica.
Sul contenuto le modifiche/integrazioni sono ancor più sostanziali.
1934 - Se si ripercorre il testo dell’articolo 221 soprariportato si vede che, all’origine, l’abitabilità (o agibilità che dir si voglia) aveva sostanzialmente una funzione igienico-sanitaria e di verifica di conformità al progetto, tanto è vero che la sua redazione era rinviata all’(allora) Ufficiale Sanitario del comune coadiuvato dal tecnico comunale (questa la prassi prevalente).
Il precipuo fine però è sempre stato quello di verificare le condizioni di salubrità dei locali da rendere abitabili (se residenziali) o agibili (se commercial-direzional-produttivi) per cui nei sopralluoghi non si andava tanto per il sottile nelle verifiche di “conformità” al progetto autorizzato, le cui eventuali variazioni esecutive (a volte sì, a volte no) venivano sommariamente riportate negli elaborati di verifica.
All’epoca la prassi ammetteva che quelli che oggi sanzioneremmo come “abusi” venivano semplicemente registrati come “presa d’atto di fatto” (il che crea oggi diffusi imbarazzi interpretativi: possono rientrare oggi nelle irregolarità geometriche del comma 2 dell’articolo 34-bis del DPR 380/01 sulle tolleranze ? - v. InGenio, 14.12.2022 - Tolleranza e sanatoria: non confondiamo).
1994 - Col DPR 425/1994 l’abitabilità/agibilità cambia radicalmente ruolo e – pur conservando la funzione di verificatore della salubrità e conformità al progetto da parte del direttore lavori (sparisce l’ufficiale sanitario) – richiede anche l’attestazione dell’avvenuto accatastamento e il certificato di collaudo.
Un cambio di contenuto e un passo avanti nella tutela pubblicistica: non solo salubrità e conformità edilizia, ma anche sicurezza strutturale (collaudo) e garanzia dell’imposizione fiscale (accatastamento).
2001 – Attestazione dei requisiti prestazionali
Nel nuovo Testo Unico dell’Edilizia nel 2001 (di fatto entrato in vigore nel 2003) l’agibilità cambia contenuto e diventa l’attestazione della “sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente” (art. 24).
“L’accatastamento” la “dichiarazione di conformità al progetto autorizzato”, la “conformità statico-sismica”, le “certificazioni di idoneità impiantistica”, la conformità “alle norme sull’“accessibilità e barriere architettoniche” sono comunque richieste dal successivo articolo 25.
Un altro passo avanti nella garanzia del futuro utente; in pratica una sommatoria e una sintesi delle idoneità impiantistiche, della sicurezza statica, della conformità edilizia attestate peraltro formalmente dalla necessaria allegazione specificata all’articolo 23:
- della dichiarazione del direttore dei lavori (o professionista abilitato) della sussistenza dei requisiti prestazionali in genere tra cui si deve annoverare quello della “salubrità” che non è più oggetto di altro accertamento specifico (art. 23, co. 5, lett a)
- del certificato di collaudo statico o sua sostitutiva dichiarazione di regolare esecuzione del d.l. (art. 23, co. 5, lett b)
- della dichiarazione di conformità alle norme sulle barriere architettoniche (art. 23, co. 5, lett. c)
- dell’accatastamento (art. 23, co. 5, lett. d)
- dal certificato di collaudo degli impianti (o dichiarazione di conformità) da parte delle ditte esecutrici (art. 23, co. 5, lett. e)
Sparisce la caratterizzazione squisitamente igienico-sanitaria dell’originario impianto del R.D. del 1934 e l’agibilità assume la veste di una certificazione a 360 gradi dell’idoneità all’uso per le garanzie di salubrità e sicurezza che sono (se è lecito fare una graduatoria di priorità) diritti imprescindibili del cittadino e oggetto di tutela dell’autorità pubblica prima ancora della conformità urbanistica e/o catastale.
2016 – La riformulazione attuale
Con l’ulteriore d.lgs. 222/2016 (oltre alla modifica di natura soprariportata) alle condizioni già previste si aggiungono il “rispetto degli obblighi di infrastrutturazione digitale valutate secondo quanto dispone la normativa vigente, nonche' la conformita' dell'opera al progetto presentato ….”.
L’articolo 25 viene soppresso e le sue prescrizioni ricomprese nella nuova formulazione dell’articolo 24.
Anche se non si può dire che queste modifiche siano sempre lineari - e certamente inducono difficoltà interpretative laddove si debba interpretare la completezza degli atti pregressi dovendo impostare la disamina nella giusta collocazione temporale per verificare la coerenza con le norme di volta in volta vigenti – è evidente comunque la direzione in cui si sta muovendo l’istituto dell’“agibilità”.
L’agibilità diventa dunque un atto ricognitorio complessivo dello stato di salute dell’edificio che garantisca sicurezza, salubrità, conformità edilizia e impiantistica: in complesso un totale rispetto delle norme a garanzia del cittadino …. a fine lavori.
Il che non garantisce il mantenimento di dette caratteristiche nel tempo:
- sia per il sopravvenire di nuove e più cogenti normative (impiantistiche o igienico-sanitarie e/o di sicurezza),
- sia per la perdita di requisiti di salubrità intrinseca (insorgenza di muffe, …).
La presenza dell’agibilità a fine lavori non osta all’insorgenza di condizioni di inagibilità successiva.
E non garantisce neppure l’usabilità immediata di un edificio dotato di un’agibilità “datata”.
Il recupero dell’agibilità mancata
Questo cambio culturale non ha ancora avuto la necessaria metabolizzazione nell’opinione comune e sono molti gli edifici privi dell’abitabilità/agibilità originaria.
Il Legislatore – ben consapevole della “disattenzione” che spesso in passato si è posta al problema – ha recentemente offerto la possibilità di acquisizione postuma dell’agibilità (anche in assenza di esecuzione di nuove opere) con il comma 7-bis del citato articolo 24.
Per la definizione dei requisiti base (per così dire) per ottenere l’“agibilità postuma” il comma 7-bis prevede l’emanazione di un decreto ministeriale ad hoc da emanarsi entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge n. 120/2020 e quindi entro il 10 dicembre 2010; termine ampiamente infruttuosamente scaduto.
Non è ben chiaro che cosa dovrebbe (oggi si può dire: avrebbe dovuto) contenere questo decreto; e quindi a quali contenuti e requisiti prestazionali si dovrebbe fare riferimento nella sua attestazione (oggi necessariamente rinviata alla modalità “segnalazione certificata” da redigersi da un professionista privato).
Difficilmente però un’agibilità postuma rispetterà i requisiti prestazionali di norme sopravvenute e quindi sarà un’“agibilità ora per allora”.
Nulla osta però che sia verificabile anche alla luce delle norme vigenti e in questo caso risolverebbe il problema dell’agibilità degli edifici oggetto di “mutamenti di destinazione d’uso urbanisticamente rilevanti” che sono eseguibili anche senza la realizzazione di opere edilizie (ex articolo 23-ter, DPR 380/01) per la cui utilizzabilità (in particolare se destinati ad usi commerciali e/o produttivi) recente giurisprudenza richiede l’attestazione di conforme agibilità.
Agibilità e inagibilità: due condizioni asimmetriche
Un fabbricato privo di agibilità non necessariamente è inagibile (la mancata richiesta dell’agibilità da tempo è stata depenalizzata e comporta solo una sanzione amministrativa ex art. 24, co.3).
Un fabbricato dotato di agibilità può essere dichiarato inagibile (magari temporaneamente). Ma quando?
Infatti l’inagibilità consegue esclusivamente per ragioni di salubrità e igienicità ex articolo 26 del Testo Unico dell’Edilizia con riferimento all’articolo 222 del R.D. n. 1265/1934 che recita: “ll podestà, sentito l'ufficiale sanitario o su richiesta del medico provinciale, può dichiarare inabitabile una casa o parte di essa per ragioni igieniche e ordinarne lo sgombero”.
Ne consegue che l’inagibilità è un “atto amministrativo” assumibile esclusivamente per ragioni di natura sanitaria e non anche per la mancanza degli altri requisiti essenziali necessari (alle varie epoche) per conseguire l’agibilità.
Si discute (a questo proposito) se la competenza sia ancora del Sindaco (come Autorità Sanitaria, il che ne rafforzerebbe il significato) o possa essere attribuita al Dirigente.
Sta di fatto che l’inagibilità è un fatto eccezionale, successivo e contingente.
Certamente la dichiarazione di “inagibilità” non travolge l’esistenza dell’“agibilità” (non ne comporta l’annullamento).
Agibilità e Stato legittimo
Per come è formulato l’articolo 9-bis del Testo Unico dell’Edilizia che puntualizza come vada redatto lo stato legittimo di un edificio l’agibilità non entra nella sua determinazione.
Siamo infatti portati a vedere l’agibilità come l’atto finale del processo edilizio che si avvia con il permesso di costruire (o suoi equivalenti s.c.i.a., c.i.l.a.). Così indurrebbe a pensare anche il comma 2 dell’articolo 24 che lega la necessità di agibilità (o rinnovo di agibilità) all’esecuzione di interventi edilizi.
In realtà però l’evoluzione normativa soprariportata mostra un suo progressivo arricchimento di contenuti prestazionali connessi a norme (prevalentemente impiantistiche) che non sono oggetto e competenza dell’atto abilitativo edilizio originario.
Per cui l’atto conclusivo del processo edilizio si arricchisce della verifica di norme cogenti che entrano in campo durante i lavori e non sono verificate, né verificabili, nell’abilitazione edilizia.
L’attuale ininfluenza dell’agibilità sullo stato legittimo può apparire una carenza.
E ci porta a vedere possibili scenari futuri.
Uno sguardo al futuro prossimo venturo
Per vedere dove stiamo andando buttiamo un occhio al redigendo Testo Unico delle Costruzioni e ci accorgiamo che tra gli obiettivi da perseguire troviamo scritto:
- “Concepire l’agibilità non come procedimento amministrativo esclusivamente correlato all’esecuzione di interventi edilizi, ma come certificazione … soggetta a periodica verifica/aggiornamento .. da produrre in particolari circostanze ( es: alienazione o locazione ….)
- Chiara distinzione tra i profili di conformità urbanistico-edilizia e le altre caratteristiche tecniche dell’unità immobiliare…
- Decisa evoluzione … verso un modello di certificazione privata soggetta a periodico aggiornamento, da depositarsi presso un portale informatico pubblico …”
Come volevasi dimostrare l’agibilità sta ancora mutando contenuto (e ruolo) e va verso il contestato “Fascicolo del fabbricato” di cui si parlava qualche anno fa e oggi relegato solo in realtà locali con variegate forme.
In attuazione di questi obiettivi la norma (articoli 32 e 33 prossimi venturi?) prevederebbe (il condizionale è d’obbligo) controlli sistematici sull’efficienza impiantistica e l’estensione ex lege dell’inagibilità degli immobili realizzati “in assenza di titolo abilitativo” e non sanati.
Affermazione forte che estenderebbe l’inutilizzabilità a tutti gli edifici abusivi. Una efficace lotta all’abusivismo edilizio.
Ma dopo aver visto l’interpretazione di analoga disposizione dell’articolo 46 della legge n.47/85 (v. InGenio 01.12.2022 - “Certificazioni tecniche e nullità dei rogiti”) non siamo certi che le cose andranno davvero così.
Quel che è certo è che la metamorfosi dell’agibilità non è finita. E con essa il dovuto chiarimento del suo ruolo.
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