Additivi “cristallizzanti” nel calcestruzzo
Dalla riduzione della permeabilità e del ritiro alla autoriparazione delle fessure (“crack self healing”)
L’attuale situazione di strutture ed infrastrutture nei paesi industrializzati e la crescente domanda di esse nei paesi emergenti ed in via di sviluppo, alla luce tanto di condizioni ambientali e di utilizzo in continua evoluzione e, nel caso, caratterizzate da crescente severità, quanto delle esigenze di sostenibilità del quadro complessivo, pongono, in misura sempre più pressante, alla attenzione della comunità di professionisti che in tale contesto opera, le problematiche della durabilità di materiali, componenti e strutture.
Nell’ambito dell’approccio prestazionale alla progettazione strutturale, alla base di tutte le più avanzate normative tecniche nazionali ed internazionali, il concetto di durabilità viene inteso come la capacità dell’opera di soddisfare ai requisiti prestazionali richiesti, nell’ambito delle condizioni di utilizzo ed a fronte delle azioni previste, per tutta la vita di servizio, senza richiedere interventi di manutenzione e/o ripristino non programmati.
Il calcestruzzo, come ben noto, è un materiale caratterizzato da una struttura porosa, con pori che si estendono dalla scala nanometrica a quella micro e millimetrica, quando non esacerbata da fattori esterni di errata posa in opera e cura dei getti. L’acqua, tanto in presenza di un gradiente di pressione quanto in assenza di esso per assorbimento capillare, può penetrare all’interno di tale struttura, innescando una serie di processi chimico-fisici che possono andare a detrimento della durabilità.
Il controllo della struttura porosa del calcestruzzo può ottenersi ad esempio attraverso i cosiddetti “supplementary cementitious materials” (ceneri volanti, fumi di silice, loppe etc.) caratterizzati da una distribuzione granulometrica più fine di quella del cemento: questi densificano la matrice, riducendo sia il volume complessivo dei pori sia il loro diametro e dunque contribuiscono a ridurre la permeabilità e l’ingresso di ioni potenzialmente aggressivi e a controllare i movimenti di acqua ed umidità all’interno del materiale, ripercuotendosi in maniera positiva sulla durabilità.
Negli ultimi decenni in tale quadro, accanto ai supplementary cementitious materials ovvero ad altri “filler” solidi, siano essi inerti (talco, bentonite, argille etc.) o chimicamente attivi (calce, silice colloidale) la cui azione si esplica secondo i medesimi meccanismi di densificazione della matrice e raffinamento dei pori, si sono venuti affermando sul mercato anche specifici additivi “riduttori” di permeabilità. Questi possono essere distinti in additivi “idrofobi” ed additivi cristallizzanti.
I primi, costituiti da sostanze chimiche analoghe a quelle contenute nei saponi e negli acidi grassi ovvero a base di petrolio, non agiscono sulla struttura porosa ma fanno sì che sulla superficie dei pori stessi venga a depositarsi uno strato idro-repellente, che esplica in tal modo la sua azione idrorepellente. Gli additivi cristallini sono polveri, normalmente aggiunte a secco ai componenti solidi nella fase di miscelazione in dosaggi massimi pari a qualche punto percentuale del peso di cemento, i cui costituenti chimici si caratterizzano per una natura fortemente “idrofila”, che, reagendo con l’acqua, anche sotto forma di umidità atmosferica, danno luogo a composti cristallini che, da un lato, contribuisce ad aumentare la densità della fase di idrosilicato di calcio e, dall’altro, comunque riduce la porosità della matrice cementizia, opponendosi in tal modo alla penetrazione dell’acqua e delle sostanze aggressive da essa veicolate.
Numerose esperienze di laboratorio, eseguite negli ultimi anni, hanno verificato la capacità degli additivi cristallizzanti di agire efficacemente sulla struttura porosa della matrice cementizia di calcestruzzi, confezionati anche per diverse classi di esposizione ambientale, riducendo l’assorbimento e la penetrazione dell’acqua, tanto a pressione atmosferica quanto sotto pressione, e la penetrazione degli ioni cloruro.
È stata altresì verificata la capacità di tali additivi di agire positivamente nei riguardi del fenomeno del ritiro idraulico, riducendone l’entità e quindi, in presenza di vincoli che si oppongano alle deformazioni da ritiro, ritardando la comparsa delle fessure e limitandone l’ampiezza. Pure sono stati riscontrati evidenti benefici nel miglioramento delle prestazioni a fronte di cicli gelo-disgelo.
Ciò ha portato ad un uso sempre più esteso di tali additivi in calcestruzzi impiegati per la realizzazione di strutture esposte a significative sollecitazioni di tipo ambientale: fra le applicazioni recenti più significative vale la pena di citare, per complessivi 150.000 m3 di calcestruzzo confezionato con l’aggiunta dell’additivo cristallizzante PENETRON® ADMIX, le strutture interrate del Terminal 3 dell’aeroporto Changi di Singapore, costruito tutto su terreno sottratto al mare, le cui strutture si trovano dunque in condizioni di esposizione particolarmente severe. L’analisi di carote estratte da un muro contro terra appartenente ad una delle strutture interrate del terminal ha evidenziato la presenza dei prodotti di cristallizzazione sopra descritti, che l’analisi al microscopio elettronico a scansione ha rivelato essere costituiti principalmente da calcio, ossigeno e silicio, con tracce di zolfo ed alluminio (ettringite), nonché la presenza di cristalli di carbonato di calcio CaCO3. La crescita di tali cristalli è stata evidenziata anche all’interno di fessure, presenti all’interno delle carote, fenomeno al quale è stato peraltro attribuito anche l’arresto di alcuni fenomeni di infiltrazione verificatisi immediatamente dopo la realizzazione del muro stesso. Ciò ha spinto ad impostare un programma di ricerca volto a verificare le capacità dei suddetti additivi di “risigillare” le fessure, grazie all’innesco dell’attività di cristallizzazione dei componenti chimici dell’additivo stesso a contatto con l’acqua, anche a seguito del completamento dei processi di idratazione. Nel seguito di questo lavoro verranno presentati i primi risultati di tale ricerca, a seguito di una breve introduzione circa il fenomeno della autoriparazione delle fessure (crack self healing) nei compositi cementizi.