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Abuso edile: quale normativa applicare in caso di sanatoria - nuova sentenza cassazione

uova sentenza cassazione per capire se sia necessario fare riferimento alla normativa in vigore al momento della realizzazione dell'abuso o invece a quella in vigore al momento della presentazione della sanatoria

In questi giorni è stata data notizia da molte testate giornalistiche - compreso INGENIO - della pubblicazione della sentenza cass. 3° pen. 31618/2015 (LINK).

Allune testate hanno asserito che con questa sentenza si sarebbe messo un punto fermo su una questione effettivamente annosa, cioè se in caso di sanatoria sia necessario fare riferimento alla normativa in vigore al momento della realizzazione dell'abuso o invece a quella in vigore al momento della presentazione della sanatoria.

Sul sito degli architetti della Campagna si pone l'accento però su alcune considerazione che riteniamo corretto divulgare, perchè in conclusione si contesta il fatto che con questa sentenza tutto sia chiarito.

Cerchiamo di fare un punto.

Le conclusioni della sentenza n. 31618/2015 della Cassazione Penale Sez. III riguardano un intervento avviato nel 2009 per un complesso edilizio di Firenze, presentando tre denunce di inizio attività.

A seguito di verifica svolta dalla Direzione urbanistica comunale furono accertati lavori comportanti anche frazionamento in 12 unità abitative (senza modifiche volumetriche complessive e destinazione d’uso, ndr), contestandone l’esecuzione in difformità alle Dia stesse.
Nel processo penale di primo grado l’Accusa aveva qualificato i lavori in ristrutturazione finalizzate al frazionamento e tali da non essere consentiti sull’immobile in quanto appartenente alla classe 1; il Tribunale si espresse in direzione opposta qualificandoli come restauro e risanamento conservativo.
Il P.M. fa ricorso sostenendo quattro motivi, in particolare rilevando l’aggravio del carico urbanistico che avrebbe reso necessario il rilascio del Permesso di Costruire e non attraverso semplice DIA, ritenendo quindi errata la qualificazione dell’intervento in restauro anziché in ristrutturazione edilizia.

La Cassazione penale nella sua valutazione di merito intuisce che l’oggetto della questio sia la qualificazione giuridica dell’intervento complessivo. (fonte: http://www.studiotecnicopagliai.it)

RIcapitolando quindi: il tribunale nei primi gradi di giudizio aveva asserito che il titolo era congruo, in quanto le opere svolte sarebbero da intendersi di risanamento conservativo. Gli architetti campani osservano invece che il frazionamento, prima dello sblocca-italia, era da intendersi in ristrutturazione edilizia - benché nella norma nazionale ciò non fosse esplicitamente indicato - e solo le fusioni e i trasferimenti di vani tra immobili limitrofi si potevano considerare risanamento conservativo).

Da quel che si capisce dalla sentenza (e non ci sono elementi per essere certi di ciò) tuttavia sembra una situazione effettivamente autorizzabile in DIA e riconducibile alla ristrutturazione edilizia, mentre invece ai committenti veniva contestato di non aver richiesto un permesso di costruire. Siamo in una regione diversa da quella di Roma, comunque nella capitale un intervento anche riguardante un intero stabile che riguardi la diversa configurazione delle singole unità immobiliari è una operazione autorizzabile in DIA e non in PdC.

In conclusione la Corte tiene molto presente il fatto che nel frattempo, nel 2014, sia stata modificata la disciplina edilizia perché con lo "sblocca italia" i frazionamenti e le fusioni sono state specificatamente inserite nella "manutenzione straordinaria" assoggettabile a CILA, e anche in funzione di questo mutato panorama normativo, rigetta il ricorso del pubblico ministero dando ragione ai committenti delle opere edilizie.

Nella sentenza dunque si legge che "le attività intraprese dagli imputati vanno riconsiderate alla luce delle modifiche normative di cui sopra [lo sblocca-italia]" e questo farebbe pensare che l'orientamento della Corte sia per indendere che la normativa vigente al momento della sanatoria prevalga ai fini della determinazione del tipo di titolo da presentare, che poi è l'interpretazione più logica che si possa dare alla questione, visto che la normativa cambia in continuazione ed è tecnicamente impossibile ricostruirne l'esatto stato in un determinato momento del passato, considerandovi anche le mutazioni della normativa locale comunale e regionale.

Ma gli architetti Campani concludono "Tuttavia la sentenza non è resa con specifica focalizzazione su questo concetto, e quindi generizzarlo è, a mio avviso, andare un po troppo oltre la staccionata."

Interessante il commento sulla sentenza dell'ing. Carlo Pagliai, urbanista forense:

"Si condivide a pieno la corretta disamina della Cassazione; per chi opera nella parte amministrativa edilizia, in particolare i professionisti, il problema di una corretta classificazione del singolo intervento edilizio sta diventando quotidiano a causa di queste ragioni:

  •     variazioni normative in ambito nazionale;
  •     variazioni normative in ambito regionale e concorrenti al quadro nazionale;
  •     pendolarismo giurisprudenziale;
  •     interpretazione operata dal segmento finale degli enti pubblici;


Nel caso di specie, per esempio, la Regione Toscana aveva già raffinato la definizione di Restauro con la L.R. 1/2005 che, nella sua ultima stesura abrogata con la L.R. 65/2014"