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Abusi edilizi: quando l'istanza di sanatoria ferma la demolizione? I presupposti per bloccare la ruspa

In tema di reati edilizi, la revoca/sospensione dell'ordine di demolizione (e anche di rimessione in pristino) può essere disposto dal giudice dell'esecuzione previo accertamento di una situazione (presentazione di istanza di condono, provvedimento stesso o altro provvedimento) che lo renderebbero incompatibile.

Lo ricorda la Cassazione nella sentenza 2930/2021 dello scorso 25 gennaio, dove si aggiunge che, tra i provvedimenti che possono investire il giudice dell'esecuzione della valutazione della incompatibilità con un precedente ordine di demolizione e/o di rimessione in pristino, può essere ricompreso un provvedimento di pianificazione urbanistica quale quello in questione nel quale è scopo precipuo quello del recupero del preesistente abuso edilizio e della sanatoria degli abusi realizzati su un determinato territorio.

Ma facciamo un passo indietro. In questo specifico caso, la Corte d'appello aveva rigettato la richiesta di sospensione dell'ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi, confermando la condanna in relazione all'art. 181 comma 1 bis del d.lgs. 42/2004. Da qui il ricorso in Cassazione: secondo la ricorrente, la Corte territoriale avrebbe illogicamente ritenuto irrilevante ai fini del decidere la delibera del Comune di di perimetrazione del comprensorio ove insiste il manufatto della cui demolizione e rimessione in pristino si discute, che, con riferimento a pregressi abusi edilizi, ha previsto un piano di recupero dell'intero insediamento con possibile sanatoria di tutte le opere abusive ricadenti nell'area in ossequio all'art. 1 della legge regionale n. 28 del 1980, mediante l'adozione di una speciale variante diretta al recupero urbanistico dei nuclei abusivi.

I giudici supremi, rifacendosi alla legge regionale del Lazio n. 28 del 1980 e s.m.i, che ha previsto una disciplina volta al recupero dell'abusivismo attraverso un articolato iter (richiamato nella pronuncia), richiamati i principi generali che regolano la materia, ricordano che a fronte di una istanza di sospensione dell'ordine di demolizione il giudice dell'esecuzione investito della questione è tenuto a un'attenta disamina dei possibili esiti e dei tempi di definizione della procedura ed, in particolare:

  • a) ad accertare il possibile risultato dell'istanza e se esistono cause ostative al suo accoglimento;
  • b) nel caso di insussistenza di tali cause, a valutare i tempi di definizione del procedimento amministrativo e sospendere l'esecuzione solo in prospettiva di un rapido esaurimento dello stesso (ex plurimis, Sez. 3, n. 47263 del 25/09/2014, Russo, Rv. 261212; Sez. 3, n. 11149 del 7/12/2011), avendo, il giudice dell'esecuzione, l'obbligo di revocare l'ordine di demolizione del manufatto abusivo impartito con la sentenza di condanna o di patteggiamento, ove sopravvengano atti amministrativi con esso del tutto incompatibili (Sez. 3, n. 55028 del 09/11/2018, B., Rv. 274135 - 01; Sez. 3, ord. n. 25212 del 18/01/2012 Rv. 253050; Sez. 3, n. 24273 del 24/03/2010, P.G. in proc. Petrone, Rv. 247791). Ma qui non risulta allegato da parte della ricorrente, al di là della adozione della delibera comunale di perimetrazione dei nuclei abusivi da parte del Consiglio comunale, la definizione in tempi brevi della procedura per la sanatoria degli individuati nuclei abusivi che passa necessariamente dalla conclusione dell'iter amministrativo, segnatamente dall'adozione della variante speciale che autorizza la presentazione di una istanza di concessione edilizia in sanatoria ai sensi dell'art. 5 cit., la sua presentazione ai sensi dell'art. 17 cit., oltre che dalla sussistenza dei presupposti di compatibilità del manufatto abusivo con la nuova programmazioni urbanistica, come delineatasi all'esito del procedimento amministrativo, tra cui, in primis, l'epoca dei realizzazione del manufatto in quanto, tenuto conto dell'art. 1 cit., la sanatoria è limitata alle costruzioni abusive ultimate fino alla data del 31 dicembre 1993.

In definitiva, l'assenza di allegazioni priva il ricorso della necessaria specificità e conduce alla declaratoria di inammissibilità del ricorso.

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