Abusi edilizi in zona sismica: tutto su sanatoria, autorizzazione, responsabilità. Le regole
In una recente pronuncia, la Cassazione ribadisce i paletti della sentenza Ramacci (da manutenzione straordinaria in poi è sempre obbligatoria l'autorizzazione sismica) ma amplia il perimetro intervendo anche in materia di responsabilità per la firma della sanatoria
I paletti dell'antisismica
Quando si opera in zona sismica bisogna ricordarsi che ci sono 'regole' specifiche, anche per quanto riguarda la possibilità di sanatoria di abusi edilizi.
Sul punto è bene segnalare la recente sentenza 32865/2021 della Corte di Cassazione, che di fatto, ribadisce i principi della la sentenza pilota "Ramacci" (n. 39335/2018): per lavori da manutenzione straordinaria compresa in poi, serve sempre il previo permesso sismico (cd. autorizzazone sismica). Ma ci sono altri aspetti da segnalare dentro la pronuncia:
- il primo sull'accessione invertita per cui non sfugge il proprietario del solo terreno;
- il secondo sul fatto che firmare una domanda di sanatoria significa essere colpevole;
- il terzo che spiega che se anche ante legge 765/67 o peggio ante legge1150/1942, su immobile atavico se si opera senza titolo edilizio si commette reato.
Vediamo di mettere assieme tutti i pezzi.
L'abuso
Nel caso specifico, l'imputata era stata condannata alla pena dli mesi due di arresto ed euro 20.000,00 di ammenda, perché:
- a) in volazione degli artt. 110 cod. pen., 93, 94 e 95 del dpr 380/2001, in qualità di proprietaria dell'immobile sito in zona sismica, realizzava, senza la preventiva presentazione dei calcoli di stabilità, senza dare il preavviso prescritto al competente ufficio del Genio Civile e senza richiedere e ottenere la prevista autorizzazione scritta dal predetto ufficio del Genio Civile, opere di manutenzione straordinaria del tetto di copertura, mediante sostituzione e opere strutturali con nuova copertura, realizzata attraverso la messa in opera di struttura in profilati, con conseguente aumento della volumetria esistente
- b) in violazione degli artt. 110 cod. pen. e 181 del d.lgs. n. 42 del 2004, in qualità di proprietaria dell'immobile sito in zona sottoposta a vincolo paesaggistico (centro storico), realizzava le opere di cui al capo a) senza la preventiva autorizzazione della competente Sovrintendenza.
La proprietà del terreno equivale alla proprietà dell'abuso
Secondo la difesa, l'imputata risulterebbe proprietaria del solo terreno su cui l'immobile è stato costruito (e abusivamente ristrutturato), ma è una doglianza inammissibile.
La Cassazione ribadisce infatti che, secondo gli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità, l'acquisto per accessione delle opere in favore del proprietario del suolo, ai sensi dell'art.. 934 cod. civ., si realizza istantaneamente, senza che occorra alcuna manifestazione di volontà di costui, volta a ritenere quanto edificato sul proprio terreno (Sez. 1, n. 47915 del 29/09/2016; Sez. 1, n. 26798 del 31/03/2016; Sez. 2, n. 11742 del 15/05/2013; Sez. 5, n. 44944 del 27/10/2011).
Ne consegue che, in assenza di un titolo autonomo e idoneo che conferisca al costruttore o a terzi il diritto di superficie sull'unità immobiliare, la proprietà appartiene al proprietario del terreno su cui il bene immobile sorge, a norma dell'art. 934 cod. civ.
Tra l'altro qui non c'è dubbio alcuno sul fatto che le operazioni di manutenzione straordinaria compiute sullo stabile siano riconducibili all'imputata, in quanto la stessa, al momento del sopralluogo, interveniva personalmente qualificandosi come proprietaria del fabbricato e conferendo l'incarico di presentare il progetto in sanatoria.
La manutenzione straordinaria
L'ulteriore censura proposta, circa l'assenza dell'aumento di volumetria derivante dalle operazioni di manutenzione straordinaria compiute sul fabbricato, è manifestamente infondata.
Ciò perché - sottoline la Corte suprema -, in materia di reati commessi con la violazione della normativa antisismica, integra la fattispecie contravvenzionale di cui all'art. 95 del dpr 380/2001 la realizzazione di qualsiasi intervento edilizio in zona sismica, in violazione della normativa di settore, anche se consistente nella costruzione di semplici "volumi tecnici", con la sola eccezione delle opere di manutenzione ordinaria, in quanto il suddetto reato tutela la sicurezza e l'incolumità pubblica.
La Corte d'appello ha osservato che, nel caso in esame, la sostituzione del manto di copertura del tetto, che astrattamente potrebbe rientrare negli interventi di manutenzione ordinaria, era realizzata con pannelli, in sostituzione delle originarie tegole, così da determinare una alterazione dell'aspetto e delle caratteristiche originarie del fabbricato, configurandosi, già solo per questo, un'ipotesi di manutenzione straordinaria, per la quale è richiesta la denuncia di inizio attività.
Poi si ribadiscono i paletti della sentenza Ramacci (39335/2018), cioè che in tema di reati commessi con la violazione della normativa antisismica, qualsiasi intervento edilizio in zona sismica, comportante o meno l'esecuzione di opere in conglomerato cementizio amato, indipendentemente dalla natura dei materiali usati, dalla tipologia delle strutture realizzate, dalla natura pertinenziale o precaria, deve essere previamente denunciato al competente ufficio al fine di consentire i preventivi controlli e necessita del rilascio del preventivo titolo abilitativo, conseguendone, in difetto, l'applicazione delle relative sanzioni, sfuggendo a tale disciplina solo gli interventi di semplice manutenzione ordinaria.
E' quindi irrilevante la natura delle opere compiute in quanto la violazione delle norme antisismiche richiede soltanto l'esecuzione di lavori edilizi in zona sismica.
Costruzione ante 1967: non conta
L'ulteriore censura, sollevata dalla difesa, sull'assenza di necessità dell'autorizzazione della Soprintendenza per il compimento delle opere di ristrutturazione, sul rilievo che la costruzione del fabbricato risale a epoca antecedente al 1967, in cui non era vigente la normativa contestata, è inammissibile.
La Corte d'appello ha evidenziato infatti che non rileva la data di costruzione dell'immobile, in quanto, secondo il pacifico orientamento della giurisprudenza del Consiglio di Stato, con la legge n. 765 del 1967 è stato solo esteso a tutto il territorio comunale quell'obbligo di titolo abilitativo, che per i centri urbani era già stato introdotto dall'art. 31 della legge urbanistica n. 1150 del 1942 e che, almeno per le principali città-capoluogo, era già in precedenza previsto nei rispettivi regolamenti edilizi.
Pur ammettendo quindi che un'opera non richiedesse, all'epoca della sua originaria realizzazione, alcuna licenza edilizia, l'ordine di demolizione si palesa legittimo qualora la costruzione, partita da tale nucleo originario, abbia col tempo subito consistenti mutazioni e ampliamenti, che avrebbero richiesto il permesso di costruire
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