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Abusi edilizi con Google Earth: anche la Cassazione dice sì

La Corte suprema conferma che è possibile utilizzare il programma Google Earth per la prova documentale della data di realizzazione di un abuso edilizio

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L'utilizzo delle aerofotogrammetrie acquisite dal programma Google Earth per stabilire le realizzazioni degli abusi edilizi è cosa lecita: i fotogrammi, infatti, costituiscono prove documentali pienamente utilizzabili anche in sede penale. Dopo i vari Tar (Calabria e Sardegna i precursori), anche la Cassazione Penale si esprime in tal senso nella recente sentenza 37611 del 29 dicembre 2020.

Ma vediamo di fare chiarezza.

Piscina in muratura abusiva 'pizzicata' da Google Earth

Nel 'nostro' caso, si disquisisce sulla realizzazione di una piscina in muratura in assenza del permesso di costruire, per la quale i ricorrenti erano stati condannati in primo grado - con conferma in appello - ai sensi dell'art.44 del dpr 380/2001 (c.d. Testo Unico Edilizia).

Nel ricorso alla Cassazione, i ricorrenti censurano in particolare la sentenza di appello ove avrebbe condiviso la ricostruzione dei fatti e la motivazione operata dalla sentenza del Tribunale, quando in realtà, in primo grado, non sarebbe stata svolta alcuna attività istruttoria, in quanto il teste del PM non avrebbe effettuato alcun accertamento, con la conseguente mancanza di prova del fatto che le opere abusive fossero attribuibili agli imputati ed insistessero su immobile di loro proprietà, avendo lo stesso teste dedotto tale circostanza semplicemente da quanto risultava da Google Earth.

Tale mezzo di prova sarebbe privo di rilevanza giuridica e sarebbe comunque insufficiente la mera veste di proprietario in assenza di ulteriori indizi.

Inoltre:

  • non si può fare riferimento alla data di inizio lavori collocata dagli incaricati del Comune sulla scorta delle immagini riportate da Google Earth;
  • l'opera contestata appare ultimata, utilizzata e funzionale, sicché la stessa sarebbe da ritenersi realizzata in epoca di gran lunga antecedente a quella riportata, fatto che renderebbe plausibile la ricorrenza del dubbio fondante l'estinzione dei reati per prescrizione.

Le prove della non colpevolezza sono a carico dell'imputato

La Cassazione rigetta tutto precisando, per quanto ci interessa, che grava sull'imputato, che voglia giovarsi della causa estintiva del reato rappresentata dalla prescrizione, l'onere di allegare gli elementi in suo possesso dai quali desumere la data di inizio del decorso del termine, diversa da quella risultante dagli atti.

Quindi, laddove la sentenza impugnata ha specificato che, sicuramente non esistente il manufatto nella data del 21/06/2013, la ultimazione della stessa, tale da segnare il momento consumativo dei reati, doveva essere collocata al momento dell'accertamento in data 11/11/2014, quale dato risultante dagli atti, incombeva ed incombe sul ricorrente, come correttamente ricordato dai giudici di appello, l'onere di allegare elementi dai quali ricavare una diversa ed anteriore datazione tale da condurre a ritenere superato il termine di prescrizione.

I ricorrenti, invece, preso atto dell'intervenuto accertamento della presenza del manufatto per il tramite di immagini tratte dal software Google Earth, si sono limitati, senza porre in discussione la data dell'accertamento, a contestare che da esse potesse desumersi lo stato di usura dei materiali e, quindi, la recente o meno realizzazione delle stesse, senza dunque adempiere all'onere loro imposto.

In definitiva: se si vuole screditare Google Earth bisogna avere delle prove 'serie' sulla data di accertamento. E qui non ci sono.

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