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Abusi edilizi: come devono essere le prove del privato? Documentali, circostanziate, oggettive

Nelle controversie in materia edilizia, i principi di prova oggettivi concernenti la collocazione dei manufatti tanto nello spazio, quanto nel tempo, si rinvengono nei ruderi, fondamenta, aerofotogrammetrie, mappe catastali, laddove la prova per testimoni è del tutto residuale.

Per provare che un intervento edilizio è stato effettuato prima di una specifica data, o ultimato entro un'altra, non sono sufficienti una testimonianza e una consulenza tecnica d'ufficio.

Lo ha precisato il Tar Napoli all'interno di una sentenza piuttosto interessante, la n.8169 del 30 dicembre 2022, perché affronta diverse tematiche in materia di abusivismo edilizio, andando anche a toccare l'argomento dell'unitarietà delle opere e della cd. fiscalizzazione del'abuso edilizio ex art.34 del Testo Unico Edilizia.

Il caso è quello del ricorso di un privato contro l'ordinanza di demolizione avanzata dal comune per alcuni interventi edilizi, che secondo il ricorrente risalivano a prima del 1967.

La risalenza dei manufatti e le prove a carico del privato

Il Tar osserva, in punto di diritto, che “deve ribadirsi l'indirizzo giurisprudenziale, in forza del quale il privato è onerato a provare la data di realizzazione dell'opera edilizia, non solo per poter fruire del beneficio del condono edilizio, ma anche - in generale - per potere escludere la necessità del previo rilascio del titolo abilitativo, ove si faccia questione di opera risalente ad epoca anteriore all'introduzione del regime amministrativo autorizzatorio dello ius aedificandi. La prova circa il tempo di ultimazione delle opere edilizie, è infatti, posta sul privato e non sull'amministrazione, atteso che solo il privato può fornire (in quanto ordinariamente ne dispone e, dunque, in applicazione del principio di vicinanza della prova) inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione del manufatto; mentre l'Amministrazione non può, di solito, materialmente accertare quale fosse la situazione all'interno del suo territorio (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 06 febbraio 2019, n. 903). Tale prova deve, inoltre, essere rigorosa e deve fondarsi su documentazione certa e univoca e comunque su elementi oggettivi, "dovendosi, tra l'altro, negare ogni rilevanza a dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà o a semplici dichiarazioni rese da terzi, in quanto non suscettibili di essere verificate (Cons. Stato, Sez. VI, 4/3/2019, n. 1476; 9/7/2018, n. 4168; Sez. IV, 30/3/2018, n. 2020)" (Consiglio di Stato, sez. VI, 20 aprile 2020, n. 2524).

Ne deriva che non possono essere accolte le istanze istruttorie tese ad ottenere la dimostrazione della datazione delle opere attraverso l’ammissione della prova testimoniale e di una consulenza tecnica d’ufficio.

La documentazione è necessaria

Nelle controversie in materia edilizia soggette alla giurisdizione del giudice amministrativo, risultando l’attività edificatoria suscettibile di puntuale documentazione, “i principi di prova oggettivi concernenti la collocazione dei manufatti tanto nello spazio, quanto nel tempo, si rinvengono nei ruderi, fondamenta, aerofotogrammetrie, mappe catastali, laddove la prova per testimoni è del tutto residuale; data la premessa, da essa discende che la prova dell'epoca di realizzazione si desume da dati oggettivi, che resistono a quelli risultanti dagli estratti catastali ovvero alla prova testimoniale ed è onere del privato, che contesti il dato dell’amministrazione, fornire prova rigorosa della diversa epoca di realizzazione dell'immobile, superando quella fornita dalla parte pubblica. Ne deriva che nelle controversie in materia edilizia la prova testimoniale, soltanto scritta peraltro, è del tutto recessiva a fronte di prove oggettive concernenti la collocazione dei manufatti tanto nello spazio quanto nel tempo” (Consiglio di Stato, sez. VI, 3 gennaio 2022, n. 4).

Prova testimoniale e CTU

Alla luce di tali rilievi, in quanto mezzo istruttorio di natura residuale e recessiva, la prova testimoniale non potrebbe essere utilizzata per dimostrare la datazione delle opere per cui è causa, facendosi questione di circostanza da comprovare attraverso documentazione certa e univoca.

Non potrebbe neppure ammettersi una consulenza tecnica d’ufficio, che avrebbe in tale ipotesi la funzione di esonerare la parte ricorrente dall’adempimento dell’onere probatorio sulla stessa gravante (Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 febbraio 2021, n. 1039).

Prove certe del privato e comune "incerto"

Ciò premesso, soffermandosi sul riparto dell’onere probatorio in ordine all’epoca di realizzazione dei manufatti privi di titolo edilizio, deve precisarsi che, pure facendo gravare sul privato un tale onere, “questa stessa prevalente opinione giurisprudenziale (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 18 luglio 2016, n. 3177, 13 novembre 2018 n. 6360 e 19 ottobre 2018 n. 5988) ammette un temperamento secondo ragionevolezza nel caso in cui, il privato da un lato porti a sostegno della propria tesi sulla realizzazione dell'intervento prima di una certa data elementi rilevanti (aerofotogrammetrie, dichiarazioni sostitutive di edificazione o altre certificazioni attestanti fatti che costituiscono circostanze importanti) e, dall'altro, il Comune non analizzi debitamente tali elementi e fornisca elementi incerti in ordine alla presumibile data della realizzazione del manufatto privo di titolo edilizio” (Consiglio di Stato, sez. VI, 20 gennaio 2020, n. 454).

Deve infatti ritenersi che, in materia di repressione degli abusi edilizi, gravi, comunque, “sull'amministrazione l'onere di adeguata istruttoria relativamente all'epoca di edificazione del manufatto ai fini della individuazione del regime giuridico applicabile alla fattispecie concreta, fermo restando, secondo l'ordinario criterio di riparto dell'onere della prova (art. 2697 c.c.), che è sul privato che afferma una diversa epoca di realizzazione del manufatto che incombe l'onere di provare la risalenza dell'immobile ad epoca anteriore (nel caso di specie, al 1942)” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 1 agosto 2017, n. 3840).

Pertanto, qualora la parte onerata abbia fornito sufficienti elementi probatori a sostegno delle proprie deduzioni (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 11 febbraio 2022, n. 996, che discorre di elementi “non implausibili” e Consiglio di Stato, Sez. VI, 29 luglio 2020, n. 4833, che fa riferimento ad “elementi dotati di alto grado di plausibilità”), pure ove non sia raggiunta la certezza processuale sulla datazione delle opere in contestazione, spetta alla parte pubblica fornire elementi di prova contraria - idonei a supportare il proprio assunto, alla base dell’impugnato ordine demolitorio, in ordine all’abusività delle opere sanzionate – in mancanza dei quali il provvedimento ripristinatorio deve essere annullato per difetto di istruttoria (risultando carente un adeguato accertamento del presupposto provvedimentale, dato dalla necessità del previo titolo abilitativo a legittimazione dell’intervento edilizio sanzionato).

Prove: o ci sono oppure no. I casi

Ne deriva che - prosegue il Tar - ci si potrà trovare di fronte a due casi:

  • il privato abbia fornito elementi probatori che consentano con certezza di escludere l’abusività delle opere in contestazione, trattandosi di manufatto realizzato anteriormente all’introduzione dell’obbligo di previo rilascio del titolo autorizzativo;
  • il privato abbia fornito elementi rilevanti ai fini del decidere, idonei a rendere verosimili le proprie allegazioni, ma tali da non consentire la sicura datazione del manufatto privo di titolo edilizio; ciò, a fronte di una condotta inerte dell’Amministrazione, che abbia omesso di valutare adeguatamente in sede amministrativa gli elementi forniti dal privato, astenendosi dall’illustrare le ragioni della loro inconferenza, e, comunque, abbia omesso di fornire elementi di prova contraria idonei a smentire le avverse allegazioni.

Nel primo caso, sarebbe possibile formulare direttamente in sede giurisdizionale un giudizio di spettanza del bene della vita in capo alla parte ricorrente, accertando la fondatezza della pretesa sostanziale alla conservazione dell’opera sebbene carente di titolo abilitativo; il che precluderebbe un’eventuale rinnovazione del potere sanzionatorio per la medesima causale (inesistenza del titolo abilitativo), ostandovi l’accertamento contrario recato nella sentenza di annullamento.

Nel secondo caso, sarebbe possibile soltanto riscontrare un difetto di istruttoria inficiante l’azione amministrativa, avendo l’Amministrazione ritenuto necessario il previo rilascio del titolo abilitativo e, dunque, ravvisato l’abusività delle opere sine titulo eseguite, nonostante l’esistenza di un serio e apprezzabile dubbio (posto dagli elementi forniti dal privato e non adeguatamente confutati dall’Amministrazione) sulla datazione del manufatto (Consiglio di Stato, sez. VI, 16 maggio 2022, n. 3807 discorre di “reali margini di dubbio”); dubbio che avrebbe potuto essere rimosso soltanto per mezzo di un’istruttoria amministrativa adeguata, tesa a collocare le opere de quibus in un periodo temporale successivo all’introduzione dell’obbligo di previo rilascio del titolo edilizio” – Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 21/10/22 n. 9010.

Ma in questo caso manca in atti la prova della legittimità urbanistica dei manufatti di cui si tratta, ciò che costituisce ragione sufficiente per disporne la demolizione ai sensi dell’art. 31 d.P.R. n. 380/01, anche prescindendosi dagli ulteriori motivi che sostengono la gravata sanzione (violazione della normativa paesaggistica e sismica).

L'unitarietà dell'opera edilizia e l'eventuale accertamento di conformità

In ultima istanza, il Tar 'cassa' anche gli ultimi due motivi di ricorso.

Si parte dall'unitarietà dell'opera edilizia, in quanto “nella ricostruzione del regime giuridico applicabile all'attività edilizia concretamente svolta, occorre, dunque, in via preliminare, verificare se si sia in presenza di un unitario intervento edilizio ovvero in una pluralità di interventi tra loro autonomi; all'esito, occorre accertare se tale intervento o tali interventi (in caso di una loro possibile considerazione atomistica), a prescindere dalla loro afferenza all'edificazione in senso stretto, abbiano comunque determinato una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, incidendo in modo significativo sui luoghi esterni, con conseguente loro qualificazione come nuova costruzione, necessitante del previo rilascio del permesso di costruire. Nel verificare l'unitarietà o la pluralità degli interventi edilizi, peraltro, non può tenersi conto del mero profilo strutturale, afferente alle tecniche costruttive del singolo manufatto, ma deve prendersi in esame anche l'elemento funzionale, al fine di verificare se le varie opere, pur strutturalmente separate, siano, tuttavia, strumentali al perseguimento del medesimo scopo pratico, consentendo la realizzazione dell'interesse sostanziale sotteso alla loro realizzazione. Come precisato dalla Sezione (16 marzo 2020, n. 1848), qualora le opere abusive siano tra loro connesse, dando luogo ad un intervento unitario, l'istante è tenuto a scegliere tra l'integrale ripristino dello stato dei luoghi, mediante la demolizione e rimozione di tutte le opere accertate come abusive dall'Amministrazione, ovvero la presentazione dell'istanza di accertamento di conformità riferita al complessivo intervento abuso, unitariamente considerato, sempre che lo stesso sia conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della sua realizzazione e al momento di presentazione della domanda. L'art. 36 D.P.R. n. 380 del 2001, del resto, regola la sanatoria avuto riguardo all'intervento abusivo e non alla singola opera abusiva; sicché, risultando l'intervento, anche alla stregua delle tipologie di intervento definite dall'art. 3 D.P.R. n. 380 del 2001, il risultato edilizio di una singola opera o di plurime opere funzionalmente connesse, la sanatoria dell'intervento non può non avere ad oggetto il complesso delle opere in cui lo stesso si sostanzia” - così, Consiglio di Stato, sentenza n. 515 del 2021.

La fiscalizzazione dell'abuso

Anche a voler prescindere dal considerare che nella fattispecie non ricorre un’ipotesi di interventi eseguiti in parziale difformità dal titolo edilizio, si rammenta che “.. in materia di abusi edilizi, l'articolo 34 del d.P.R. 380 del 2001 (il quale prevede il potere di disporre la c.d. fiscalizzazione degli abusi) è disposizione che ha valore eccezionale e derogatorio e dev'essere intesa nel senso che non compete all'amministrazione procedente valutare, prima dell'emissione dell'ordine di demolizione dell'abuso, se la misura possa essere applicata, incombendo, piuttosto, sul privato interessato, la dimostrazione, in modo rigoroso e nella fase esecutiva, della obiettiva impossibilità di ottemperare all'ordine stesso senza pregiudizio per la parte conforme” - in tal senso, ex multis, Cons. Stato, VI, sent. 4171/2022”.

Cambio d'uso del sottotetto senza permesso o in variazione essenziale: si demolisce

E' infine legittima l’irrogazione della sanzione ex art. 31 d.P.R. 380/2001 anche per quanto concerne il cambio di destinazione del sottotetto del fabbricato A: “a prescindere dalla circostanza che siffatto mutamento sia o meno avvenuto mediante la opere edilizie, la destinazione dei piani in questione (interrato e sottotetto) ad abitazione ha determinato un incremento delle volumetrie e delle superfici “utili” - ossia utilmente fruibili – con conseguente aggravio del carico urbanistico, secondo quanto previsto dall’art. 32, comma 1 lett. a) D.P.R. n. 380/2001, a norma del quale costituisce “variazione essenziale” ogni “mutamento della destinazione d'uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968”.


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Allegati

Abuso Edilizio

L'abuso edilizio rappresenta la realizzazione di opere senza permessi o in contrasto con le concessioni esistenti, spaziando da costruzioni non autorizzate ad ampliamenti e modifiche illegali. Questo comporta rischi di sanzioni e demolizioni, oltre a compromettere la sicurezza e l’ordine urbano. Regolarizzare tali abusi richiede conformità alle normative urbanistiche, essenziale per la legalità e il valore immobiliare.

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