Abitazione principale ai fini Imu: esenzione senza verifica dei familiari
La Consulta ammette all’esenzione anche due distinte abitazioni per un nucleo familiare, se specifiche esigenze hanno condotto i suoi componenti a stabilire residenze e dimore abituali differenti
Dopo il dirompente intervento della Corte Costituzionale alla fine dello scorso anno (sentenza n. 209 del 13.10.2022) l’acconto Imu 2023 deve fare i conti con la nuova definizione di abitazione principale, che misura il benefico al solo requisito anagrafico del contribuente, senza necessità di tenere conto della dimora e/o della residenza del coniuge.
I requisiti
L’esenzione concessa dal comma 740 dell’articolo 1 L. 160/2019 al fabbricato destinato ad abitazione principale, ad eccezione dei fabbricati classificati nelle categorie catastali di lusso A/1, A/8 e A/9, richiede un duplice requisito:
- che l’immobile sia iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare. Conseguentemente, il contribuente che deciderà di utilizzare come unica abitazione immobili che catastalmente sono separati, non potrà considerarli entrambi abitazione principale ma, al contrario, solo per uno potrà invocare le agevolazioni, mentre l’altro dovrà scontare l’imposta come un fabbricato qualsiasi (sul punto la circolare 27/E/2016 ha affermato che nel caso di due unità immobiliari con diversa intestazione, è possibile annotare agli atti la fusione castale, alla quale si ritiene di poter dare efficacia anche ai fini Imu);
- che tale fabbricato sia destinato a dimora abituale e sia anche la residenza anagrafica del contribuente. Si badi bene che non si tratta di due requisiti alternativi, in quanto il contribuente, oltre che abitare l’immobile, deve anche porre in esso la residenza anagrafica, con la conseguenza che qualora dimora e residenza siano divergenti, l’esenzione non sarebbe applicabile.
L’esenzione, come detto, spetta anche per le pertinenze dell’abitazione principale se classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un’unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all’unità ad uso abitativo.
Qualora il contribuente possieda due immobili della stessa categoria catastale, la circolare 3/DF/2012 permette al contribuente di scegliere quale considerare pertinenza (normalmente sarà quello con rendita maggiore).
I fabbricati di lusso, qualora destinati a abitazione principale, sono imponibili; ai sensi dei commi 748 e 749 beneficiano dell’applicazione di una aliquota ridotta (che al massimo può essere pari allo 0,6%) scomputando da quanto dovuto una detrazione di euro 200.
I familiari del contribuente
In relazione al secondo requisito già da subito venne posto un vincolo, che richiedeva la verifica del requisito anagrafico e di utilizzo non solo in capo al possessore dell’immobile (da intendersi come soggetto passivo tenuto al pagamento del tributo) ma anche ai suoi familiari (da intendere come coniuge del contribuente).
Su tale aspetto, a fronte di una prima interpretazione favorevole da parte del Mef, si è consolidata una posizione ben più rigorosa della Cassazione, a cui è seguito un tentativo di stabilizzazione da parte del D.L. 146/2021; come detto, i termini di questo dibattito sono stati risolti dalla Corte Costituzionale, che ha eliminato nella norma (lettera b del comma 741 della L. 160/2019) ogni riferimento ai familiari del contribuente.
Pertanto, ciascun contribuente deve considerarsi libero di scegliere il proprio domicilio e fissare la propria residenza anche in maniera divergente rispetto al coniuge, concordando con questo il miglior modo per la gestione degli interessi affettivi ed economici della famiglia. Se tali interessi portano ad utilizzare due diverse abitazioni, entrambe potenzialmente possono essere esentate.
La Consulta ammette all’esenzione anche due distinte abitazioni per un nucleo familiare, se specifiche esigenze hanno condotto i suoi componenti a stabilire residenze e dimore abituali differenti (da rammentare che ciascun possessore, comunque, deve valutare la coincidenza della propria dimora e residenza nell’immobile).
Questo non significa che un nucleo familiare abbia di per sé diritto a fruire di una doppia esenzione, ma solo che la verifica tra i coniugi risulta svincolata: nella sentenza i giudici ci tengono a specificare che tale assetto non determina, in alcun modo, una situazione in cui le cosiddette “seconde case” delle coppie unite in matrimonio o in unione civile possano usufruire dell’esenzione. Al contrario, ove i coniugi abbiano la stessa dimora abituale, l’esenzione spetta una sola volta.
La sentenza, infatti, elimina l’automatismo precedentemente previsto dalla norma e quindi responsabilizza i comuni e le altre autorità preposte ad effettuare adeguati controlli circa il requisito anagrafico dei possessori.
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