A Genova costruire il Ponte significa ricostruire una parte di città
Una riflessione di Flavio Piva del CENSU
Il dramma di Genova ha scatenato emozioni di ogni tipo; l'elaborazione collettiva del grave lutto dopo il momento dei perché, della ricerca dei colpevoli e delle cause, giunge ora alla fase più rigenerante: come ricostruire il Ponte di Genova, con le maiuscole perché oggi questa costruzione è diventata un simbolo internazionale.
Gli antichi ponti in muratura rappresentano ancora oggi monumentalità integrata alla città; quelli della prima era dell'acciaio e poi del cemento, più arditi, cominciavano a staccarsi dalla città per diventare oggetti a se, anche molto belli ma spesso hanno generato intorno solo sottovie e “non luoghi”.
Solo i migliori hanno rispettato la città interpretandola, dal Ponte Vecchio di Firenze al ponte Dom Luís I a Porto.
Se si accetta questo approccio, non è chi non veda che il problema è traslato di livello, dal ragionare su un'opera a rigenerare un'area urbana, spostato quindi sul piano dell'urbanistica, quella più sfidante per una città.
I ponti delle Città
I ponti interni alle città non sono mai solo un'opera per superare fiumi o valli ma hanno sempre assunto significati iconici o rappresentativi.
Il ponte Morandi nel 1963 era il simbolo della genialità ingegneristica italiana, del miracolo economico e di una città in espansione turbinosa. La sua caduta avviene oggi in un momento storicamente molto diverso ma, come negli anni '60, la sua ricostruzione oggi può essere occasione di rappresentare diversamente il futuro.
“Dov'era, com era” è lo slogan della ricostruzione friulana, adatto per un territorio che rivoleva la sua identità; a Genova lo si invoca solo perchè potrebbe accelerare i tempi.
Non solo un problema strutturale o architettonico
Ma ripristinare la struttura crollata senza ripensarne il ruolo nel contesto urbano è veramente saggio?
Sul piano strutturale, siamo tutti ansiosi di capire le cause e la dinamica del crollo; come tecnici vogliamo capire i limiti del progetto, quelli dei materiali e le criticità dei modi delle manutenzioni. Ma sulla ricostruzione dobbiamo essere bravi: dobbiamo inserire il massimo dell'intelligenza progettuale sulle opere da realizzare e sui modi cui arrivarci. Velocità ed efficacia vanno coniugate; l'area è una parte complessa di una città complicata, l'approccio deve essere globale.
Cito due considerazioni, buone sintesi della sfida da affrontare.
Dice Bertolaso: “In otto mesi si fa un ponte “baby”, una bretella in acciaio. Un’altra cosa è fare il ponte più importante di questo Paese. Un’opera strategica che va fatta, non dico andando piano, ma mettendo sul tavolo un progetto serio, elaborato bene, condiviso con la cittadinanza e l’amministrazione locale”.
Anche Renzo Piano considera elemento imprescindibile della sua “idea di ponte” - da lui donata alla città di Genova - la “rigenerazione dell’intera area della Val Polcevera, di grandissima importanza, anche se sostanzialmente periferica ma strategica per la città, in un’ottica di un suo rinnovamento economico, tecnologico, sociale oltre che culturale”.
Rigenerare, più che ricostruire
L'occasione è lampante: oggi i molti Sindaci che tentano di rigenerare aree dismesse o parti delle loro città con piani di ambito urbano, devono far fronte al vero problema di trovare il “driver” dello sviluppo dell'area. Sperano in nuovi nuclei di servizi pubblici, localizzazioni di funzioni attrattive o di centri commerciali o direzionali ma spesso l'attuazione di un buon progetto di rigenerazione urbana si arena subito di fronte alle insufficienti risorse pubbliche necessarie per rinnovare a fondo le infrastrutture e i tutti i sottoservizi dell'area.
A Genova, le risorse che verranno attivate dalla ricostruzione del ponte Morandi possono essere il primo, grande motore dello sviluppo e del rinnovo di questa parte di città. Qui, anche il piano urbanistico deve cambiare e può farlo anche profondamente.
Un approccio sperimentale fuori dalle regole aiuterebbe a far capire alla burocrazia e alla politica come si possono progettare le città oggi. Anche il Consiglio Nazionale degli Architetti PPC auspica che l’immensa tragedia che ha colpito Genova possa diventare un modello di riferimento per l’elaborazione di una esemplare rigenerazione dell’area della Val Polcevera,
Quindi è pregiudiziale avere: (i) un commissario unico sia per la ricostruzione del ponte sia per la rigenerazione urbana; (ii) leggi speciali e procedure d'urgenza (ii) deleghe totali, anche di gestione dei flussi finanziari, ai livelli comunali e regionali; (iii) un grande team di professionisti per l'attuazione e la gestione pluriennale di tutto il progetto di rigenerazione urbana.
L'esperienza del Friuli dopo il 1976
Un'approccio simile lo si può ritrovare forse solo nelle scelte legislative e amministrative fatte nel post sisma del Friuli; negli anni '76-79 il combinato disposto delle leggi regionali, statali e l'autonomia degli uffici diventò un modello virtuoso a cui ora ci si potrebbe riferire.
Una sperimentazione di autonomia locale, in fondo già presente nelle corde dei liguri. A meno che non si voglia andare di deroga in deroga, lasciando il sottostante legislativo invariato per cambiare tutto per non cambiare niente.
Le caratteristiche dell'area del Polcevera
Le caratteristiche dell'area sono abbastanza particolari: un fiume cementificato, fasci di binari e numerosi edifici da superare in altezza; un tessuto urbano di fondo valle mal collegato in direzione est-ovest, diffuse destinazioni residenziali, sedi produttive di aziende importanti e luoghi commerciali della grande distribuzione cresciuti nel poco spazio rubato al fiume e alla ferrovia. Un viadotto che salti a piè pari tutto questo, ripristinerebbe i flussi di traffico ma sarebbe occasione persa se null'altro riuscirà a dare alla città.
Sul piano della mobilità, se ci riferiamo al solo nuovo Ponte questo potrebbe essere un collegamento necessariamente multimodale e multilivello; che risponda cioè a tutti i modi della mobilità est-ovest già oggi presenti e ai diversi livelli di traffico che qui si concentrano: un traffico Italia-Francia, specie quello pesante, di livello internazionale che da solo rende probabilmente necessaria la terza corsia autostradale, un traffico di livello regionale e quello cittadino che hanno l'occasione di essere ottimizzati e forse separati dal primo.
Se pensiamo anche al quadro urbanistico di zona si aprono altre dimensioni di progetto.
Si sono sognati nuovi collegamenti est/ovest in quota o in tunnel siano essi di tipo tradizionale, automobilistici, ciclabili o pedonali o una nuova cremagliera / funivia? Ci sono progetti di portare la metro oltre la Val Polcevera per nuovi poli della città? Qualcuno ha pensato di rilocalizzare le attività produttive e liberare spazi al fiume? Anche l'eventuale ridisegno idraulico e paesaggistico del Polcevera va messo in conto nell'ottica dell'adattamento climatico.
Questo è il momento di mettere tutto in gioco. Riordino della Val Polcevera, minimi criteri di aumento della sicurezza idraulica, separazioni dei flussi di traffico, trasferimento fra le due sponde di flussi ciclopedonali e se possibile della metro farebbero allora propendere per una struttura con molti canali di flusso e forse più livelli e fanno ritenere che un ponte a grandi luci meglio si presti al futuro riordino di una parte estesa di città. Non è facile ipotizzare nel prossimo futuro altre costruzioni di ponti a Genova e questa occasione va sfruttata con uno sguardo lungo al futuro.
Manca un dibattito sulla Città
In questa ottica, quello che sembra oggi ancora fortemente sottovalutato è come progettare entro un approccio di rigenerazione urbana.
Accanto al progetto vero e proprio del Ponte non si vede ancora partire un dibattito sulla città, non si parla ancora di piani urbanistici, non è stato costituito un team di lavoro specifico. Le strutture nord europee di pianificazione urbanistica, pubbliche, private o miste, sono formate da decine di professionisti tecnici, esperti legali, finanziari, in sintesi una squadra capace di affrontare in breve la complessità delle prime linee di progetto e dove troverebbero giusta collocazione figure professionali più innovative, developers, general contractors, facility managers, esperti immobiliari e gestori dei processi partecipativi dei residenti. E questo aprirebbe all'esterno il progetto nel quale sarebbe meglio vedere all'opera molte professionalità esterne indipendenti.
Invece, pare che si stia pensando molto al progetto del Ponte e forse ad una serie di progetti minori più o meno correlati e infine ad una variante di Piano regolatore che legittimi tutta l'operazione: Vecchie pratiche, magari tutto definite “in house”, destinate a dare solo esiti conservativi.
Il tempo è una variabile importante, ma non la sola. Modi nuovi e moderni di operare potrebbero essere attivati in breve solo in modo autocratico se si delega un commissario unico per la ricostruzione e per la rigenerazione urbana, si approvano leggi speciali e procedure d'urgenza e si attiva un grande team di professionisti e tutto ciò esalterebbe anche il genio di Renzo Piano.