Pavimenti Industriali | Calcestruzzo Armato
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Calcestruzzo per pavimentazioni industriali che durano nel tempo

In questo articolo l'ing. Gianluigi Pirovano, ingegnere forense esperto in pavimentazioni industriali, descrive e analizza le specificità che influenzano la scelta del calcestruzzo quando si tratta di realizzare una pavimentazione industriale.

Le specificità dei pavimenti industriali che influenzano nella scelta del calcestruzzo

Per realizzare pavimentazioni industriali che durano nel tempo è fondamentale prescrivere calcestruzzi adeguati a questo tipo di lavorazione.

La scelta di un calcestruzzo rispetto ad un altro dipende da diversi fattori.

Rispetto alle realizzazioni di manufatti in calcestruzzo prefabbricato o nell’edilizia civile ed industriale classica, le pavimentazioni industriali presentano cinque specificità.

  1. Sono caratterizzate da geometrie e coefficienti d’aspetto penalizzanti, con grandi superfici e spessori limitati.
  2. Non sono contenute in casseri, le superfici sono quindi molto esposte all’aria e alla conseguente disidratazione del calcestruzzo, sia allo stato fresco che allo stato indurito.
  3. La consistenza del calcestruzzo all’atto della posa è tendenzialmente più alta rispetto ad altri tipi di lavorazioni tradizionali e in molte realizzazioni il calcestruzzo non viene vibrato, ma steso con modalità manuale.
  4. All’estradosso della pavimentazione devono essere realizzate successive lavorazioni sul calcestruzzo ancora fresco.
  5. Sono richieste altre specifiche prestazioni aggiuntive rispetto alle sole resistenze meccaniche, quali planarità, rugosità superficiale, resistenza all’abrasione, ecc., ma in alcuni casi anche impermeabilità, resistenza al gelo, ecc.

Quindi la domanda su quale tipo di calcestruzzo si debba utilizzare per le pavimentazioni industriali è concreta e assolutamente pertinente.

 

Le prestazioni richieste sono più alte e complesse rispetto le lavorazioni tradizionali

Le prestazioni complessive richieste ai calcestruzzi utilizzati per le pavimentazioni industriali sono infatti molto più alte ed articolate rispetto alle lavorazioni tradizionali.

Non basta quindi definire la classe di resistenza, la classe di consistenza, la classe di esposizione, come nel caso delle realizzazioni tradizionali.

Le patologie di degrado delle pavimentazioni industriali non a caso evidenziano la complessità delle specifiche problematiche del settore e, conseguentemente, la richiesta di calcestruzzi specificatamente dedicati.

Ma perchè chiedersi quale tipo di calcestruzzo dovremmo utilizzare per i pavimenti industriali se i preconfezionatori hanno già le risposte?

Oggi tutti i produttori di calcestruzzo preconfezionato offrono al mercato calcestruzzi dedicati e specifici per pavimentazioni industriali.

A conferma di questo, vengono spesso proposte commercialmente miscele di calcestruzzi contraddistinte da nomi e marchi che indicano e orientano allo specifico utilizzo.

Vengono proposti calcestruzzi con vari Rck, indicativamente compresi tra Rck 30 e Rck 40, vengono proposte varie classi di consistenza, solitamente comprese tra S3 (stesura meccanizzata, ad esempio con Laser Screed) e S5 (classica stesura con  stadia manuale).

Vengono proposte varie classi di esposizione (praticamente tutte le classi di esposizione previste in normativa)

Molti calcestruzzi vengono proposti mix design con aggiunte di fibre sintetiche o di acciaio, spesso vengono proposti calcestruzzi fibrorinforzati (e correttamente) con la classe di tenacità.

Infine, anche se questa panoramica non è ovviamente esaustiva di tutte le offerte del mercato, vengono proposti dai produttori calcestruzzi con definiti valori di basso ritiro o specifiche miscele con calcestruzzo a ritiro contrastato.

Ovviamente possono essere scelte varie classi di esposizione, XC, XF, XD, con le relative specifiche prestazioni.

La stessa Conpaviper molti anni fa aveva individuato nel calcestruzzo Pavical un primo approccio prestazionale dedicato alle pavimentazioni industriali.

Quindi il progettista non ha che da scegliere, il mercato propone tutte le ricette possibili, basta conoscere i parametri progettuali e la cosa è fatta.

Il preconfezionatore potrà fornire il calcestruzzo ottimale per la pavimentazione da realizzare.

Quindi dove sta il problema? Perché chiedersi quale calcestruzzo dovremmo utilizzare?

La risposta è proprio nei 5 punti precedentemente elencati.

Le richieste prestazionali per un calcestruzzo da utilizzarsi nelle pavimentazioni industriali vanno ben oltre quelle delle tradizionali realizzazioni.

 

Specificità delle pavimentazioni industriali e delle loro lavorazioni in opera

Di seguito troverete tutti (o i più significativi) elementi che caratterizzano la specificità delle pavimentazioni industriali, e vedremo in seguito come potranno incidere su questi 5 punti.

La specificità delle pavimentazioni industriali e delle loro lavorazioni in opera:

  • Omogeneità del calcestruzzo
  • Tempi di trasporto
  • Temperature all’atto della posa (ma anche in esercizio)
  • Perdita di lavorabilità
  • Spessori della lastra di pavimentazione
  • Stratigrafia complessiva del sistema di pavimentazione
  • Segregazione del calcestruzzo fresco in opera (bleeding)
  • Tempi di presa
  • Ritiro in fase plastica
  • Ritiro in fase indurita
  • Sistema di mescolazione in centrale
  • Sistema di trasporto e sua efficienza

Infine, e non mi stancherò mai di evidenziare ”l’importanza strategica della Direzione Lavori”.

Mentre nelle lavorazioni tradizionali alla D.L. viene soprattutto richiesto di verificare le caratteristiche del calcestruzzo fornito in termini di resistenza meccanica, nel caso delle pavimentazioni industriali il controllo della D.L. deve necessariamente considerare tutte le interazioni tipiche dei sopraddetti evidenziati 5 punti caratterizzanti i pavimenti industriali.

 


Pavimenti Industriali: non basta il progetto, fondamentale il ruolo della direzione lavori

Per Gian Luigi Pirovano: "Solo lui - il Direttore Lavori - avrà la conoscenza dei problemi al momento dei lavori, a lui il compito quindi di ottimizzare i materiali, gli accorgimenti, i controlli per ottenere un buon risultato."

Leggi l'intervista completa - CLICCA QUI


 

Passare da una miscela di calcestruzzo (che dovrebbe essere) controllato nella centrale di betonaggio, con una composizione definita e gestita da impianti e software dedicati, al prodotto effettivamente omogeneizzato, trasportato, realmente messo in opera e steso sulla massicciata, è un percorso molto articolato, non semplice, a volte ignoto agli stessi operatori nei vari passaggi.

Per la mia esperienza, spesso non controllato a dovere.

Vediamo nel merito:

Omogeneità del calcestruzzo

Il calcestruzzo è un materiale intrinsecamente disomogeneo. Una miscela è composta da differenti materiali con masse volumiche estremamente differenti. Il cemento ha una massa volumica di circa 2,9-3,1, gli aggregati di 2,6 – 2,8, l’acqua 1, l’aria 0.

É evidente che, tra questi, i materiali più leggeri tenderanno a cremificare sulla superficie. Tanto maggiore sarà la fluidità della miscela tanto più facilmente si potranno verificare disomogeneità compositive nella stratigrafia della lastra.

Il trasporto in superficie di aria, acqua, e finissimi, oltre agli aggregati più fini e il deposito di aggregati grossi sul fondo della lastra può creare anche forti disomogeneità, soprattutto in superficie.

 

Tempi di trasporto di un calcestruzzo

Il tempo di trasporto di un calcestruzzo influenza molto il risultato finale. Tempi di trasporto ridotti possono comportare insufficiente mescolazione (quindi disomogeneità), tempi lunghi posso comportare perdite di lavorabilità, da rettificare poi in opera (quindi rischio di disomogeneità).

 

Temperature all’atto della posa (ma anche in esercizio)

Temperature eccessivamente basse o alte influenzano fortemente la messa in opera del calcestruzzo.

Su questa problematica sono disponibili normative e codici di pratica. Ma quasi sempre queste normative nascono da un indirizzo storicamente incentrato sugli aspetti strutturali, e non tengono presente la particolarità delle pavimentazioni industriali.

Le pavimentazioni industriali, infatti, hanno trovato nobiltà normativa solo negli ultimi 15- 20 anni, circa 20-30 anni dopo le tradizionali norme sui calcestruzzi strutturali.

 

Perdita di lavorabilità del calcestruzzo

Come noto, la perdita di lavorabilità di un calcestruzzo dipende da molti fattori. Mix design, temperature, tempi di trasporto, ecc. Un'incorretta gestione della perdita di lavorabilità per tempistiche e temperature comporterà modifiche successive, e possibili problemi.

 

Spessori della lastra di pavimentazione

Il mix design di un calcestruzzo non può essere considerato come una ricetta perfetta e “sigillata”. Lo stesso mix design, utilizzato in realizzazioni diverse, potrebbe risultare inadeguato.

Un mix design ottimale per una pavimentazione di spessore 15 cm, potrebbe essere completamente sbagliato per una pavimentazione di spessore 30 cm.

 

Stratigrafia complessiva del sistema di pavimentazione

Sappiamo che la presenza o meno di barriere freno vapore (ad es. il tradizionale foglio di polietilene) possono influenzare il bleeding di un calcestruzzo, e quindi la segregazione, e quindi la resistenza superficiale, la quantità di spolvero applicabile, il rischio di delaminazione.

 

Segregazione del calcestruzzo fresco gettato in opera (bleeding)

Bleeding eccessivo, bleeding insufficiente, bleeding ritardato, comportano rischi e difetti nella realizzazione della lastra in calcestruzzo.

Il bleeding eccessivo comporta segregazione, minore planarità, microfessurazione, possibili distacchi superficiali.

Un bleeding insufficiente comporta minore applicazione di spolvero indurente, disomogeneità di finitura superficiale, inestetismi, minore planarità.

 

Tempi di presa del calcestruzzo

Il tempo di presa del calcestruzzo influenzano i tempi di realizzazione delle operazioni di finitura. Il problema maggiore non è, tuttavia, il tempo di presa, ma la differenza di temo di presa tra varie zone di getto, difficili da gestire poi nelle lavorazioni di finitura.

 

Ritiro in fase plastica

Il ritiro in fase plastica dipende (mi scusino gli amici colleghi di questa ulteriore semplificazione) dal mix design e dalle condizioni operative. Temperatura, vento, sole, ma anche bleeding, coesione del calcestruzzo, ecc.

 

Ritiro in fase indurita

Il ritiro in fase indurita è una delle componenti prestazionali richiedibili al produttore di calcestruzzo. Il vero problema è ottenere effettivamente in corso d’opera il valore previsto, in relazione a tutte le variabili di cantiere.

 

Sistema di mescolazione in centrale

Classico dilemma: Premescolatore o no? Se le autobetoniere non sono mescolatori, il premiscelatore permette una teorica migliore omogeneità del calcestruzzo fornito. Sempre da consigliare.

 

Sistema di trasporto e sua efficienza

Il calcestruzzo prodotto in centrale è perfettamente dosato e tutti i componenti controllati (attenzione: una pesata non automaticamente la qualità), inoltre le autobetoniere utilizzate per mescolare e trasportare il calcestruzzo, sono adeguate ed efficienti? Sempre per la mia esperienza sul campo, risponderei assolutamente no!

Non basta utilizzare una buona benzina, se il motore non è ben tarato.

 

Ma poi, proprio sulla base dei contenziosi che ho avuto occasione di affrontare come Consulente di Parte, l’elenco delle prestazioni potrebbe essere completato con ulteriori richieste qualitative:

  • Presenza di legni e/o aggregati leggeri (“sassi morti, frustoli vegetali, inquinanti leggeri in genere, ecc.). E il valore % della loro presenza deve essere decisamente più basso di quello attualmente indicato in normativa.
  • Incostanza qualitativa degli inerti, soprattutto delle sabbie, che comportano le più importanti caratteristiche reologiche e, sostanzialmente, le caratteristiche fisico-meccaniche.
  • Sovradosaggi di sabbie vagliate e/o fini. L’eccesso di sabbie fini può migliorare le prestazioni nel caso di posa con pompa, ma è ormai noto che possono comportare problemi di eccesso d’aria e/ o delaminazioni.
  • Indurimento eccessivamente differenziato tra estradosso e corpo del calcestruzzo.

É un vero problema per i posatori.

In relazione alle condizioni operative e termoigrometriche, a volte la parte estradossale del calcestruzzo è pronta per le operazioni di  frattazzatura (non procrastinabile, per evitare il non corretto inglobamento dello spolvero superficiale al calcestruzzo sottostante). Ma la parte inferiore del calcestruzzo è ancora “morbida”, quindi le operazioni di finitura con elicottero diventano difficili (i posatori lo chiamano “effetto onda”, difficile da governare anche per gli applicatori più esperti) estremamente negativo per la qualità della finitura del pavimento, delle tolleranze di planarità, ecc.

  • Gli additivi:  sono obbiettivamente una grande risorsa. Senza questi prodotti oggi non potremmo vedere realizzazioni di durabilità inaspettate, costruzioni che ormai superano il chilometro di altezza.

Tuttavia, le formidabili prestazioni di tali prodotti innovativi, non comportano automaticamente la loro perfetta compatibilità con le richieste prestazionali complessive di una realizzazione in opera.

Il percorso formulativo avvenuto in questi decenni, con il passaggio dai ligninsolfonati, ai naftalensolfonati e poi oggi agli acrilici, ha aumentato le performance dei superfluidificanti ma, per contro, è aumentato anche il rischio di segregazione in miscele di calcestruzzo non ben calibrate.

Ultimo aspetto tecnico ben noto agli esperti del settore, ai miei amici e colleghi tecnologhi, che dovrà essere oggetto delle prossime future analisi e prescrizioni (anche normative), riguarda le pavimentazioni in calcestruzzo all’esterno, ed in particolare quelle da realizzare in ambienti gelivi.

 

...e per le pavimentazioni in calcestruzzo all'esterno, quale cls dovremmo utilizzare?

La risposta non è automatica.

Proprio per questo dovremmo promuovere più articoli tecnici, sperimentali, meno commerciali, coinvolgendo specialisti del settore (e in Italia ne abbiamo di formidabili).

Vediamo le proposte tecniche:

  • Utilizzare calcestruzzi in classe XF (aerati);
  • Utilizzare calcestruzzi con basso rapporto Acqua /Cemento (0,40-0,45);
  • Utilizzate calcestruzzi con basso rapporto Acqua/Cemento (≤ 0,50) ma con buona impermeabilità, ottenuta con mix design specifici, oppure protetti superficialmente con trattamenti impermeabilizzanti o idrorepellenti (meglio ancora se con effetto protettivo ai sali disgelanti e aggressivi ambientali).

L’analisi delle varie proposte necessiterebbe di ulteriori approfondimenti ma, certamente, possiamo vedere come non esista, nel campo delle pavimentazioni industriali, “il calcestruzzo”, ma vanno cercate soluzioni progettuali (o da modificare nel corso dei lavori) in relazione alle varie situazioni e condizioni specifiche.

 

Per terminare, torniamo alla domanda iniziale: Quale calcestruzzo per le pavimentazioni industriali?

Semplice! Specifiche progettuali corrette, verifiche con gli operatori ed eventuali modifiche in corso d’opera. Buona composizione della miscela, attenta alle peculiarità della realizzazione prevista.

In sostanza la gestione condivisa degli attori nelle varie fasi di lavoro, preliminare e in corso d’opera.

Condivisione, Condivisione, Condivisione.

Gian Luigi Pirovano

Ingegnere – Master II° livello in Ingegneria Forense. Presidente e Direttore Tecnico STEMCO S.r.l.

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