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Regolamento edilizio tipo, o tutto o niente: le definizioni uniformi sono tutte collegate! La sentenza

Tar Bari: solo quando il comune riterrà di adottare con apposito atto di recepimento il RET potrà esercitare i poteri riservati ad esso dalla disciplina regionale, fino ad allora dovrà adeguarsi ad esso

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Ha decisamente il suo perché, la recente sentenza 58/2020 del Tar Puglia (Bari), che distingue bene la potestà del comune, in ottica urbanistica, rispetto all'adeguamento (o meno) dell'amministrazione stessa al regolamento edilizio tipo ex art. 4 comma 1-sexies dpr 380/2001, introdotto dall'Intesa del 20 ottobre 2016 della Conferenza Unificata.

Regolamento edilizio tipo: gli interrogativi

Il Tar Bari risponde a queste interessanti domande:

Il caso

L'oggetto del contendere è rappresentato da alcuni lavori edilizi che consistevano in demolizione e ricostruzione di un edificio esistente e applicazione di bonus volumetrico ai sensi piano casa Puglia, LR 14/2009.

Il comune aveva annullato la SCIA alternativa al permesso di costruire e imposto l’immediata sospensione dei lavori poiché, dopo la verifica della documentazione allegata, "il conteggio della volumetria era stato effettuato sulla scorta della definizione fornita dal RET regionale (definizione uniforme n. 46), che esclude dal conteggio stesso del volume edificabile le superfici accessorie, le quali, invece, nella definizione del regolamento edilizio comunale sono incluse".

Per l'impresa ricorrente, questo annullamento era illegittimo in quanto la SCIA era stata presentata dopo il 1° gennaio 2018 - data a partire dalla quale gli aspetti edilizi ed urbanistici soggiacciono al RET regionale cosi come previsto dalla LR n.11 del 28 maggio 2017 -: il comune, quindi, avrebbe dovuto detrarre dalla volumetria complessiva di progetto le volumetrie derivanti dalle superfici accessorie, perché queste, come da definizione uniforme n.46 del RET, non concorrono alla formazione del volume complessivo.

No regolamento edilizio tipo? No poteri del RET ma solo adeguamenti

Qui scatta il paradosso. Il Tar sottolinea subito che la SCIA per cui è causa è stata presentata in data 21 giugno 2018, di talché la stessa soggiace, per le ragioni che si diranno, alla nuova disciplina dettata dal Regolamento edilizio-tipo regionale, secondo quanto previsto dalla L.R. 18 maggio 2017 n. 11.

Ora, siccome il comune non ha ancora adeguato il proprio Regolamento edilizio al RET regionale, attraverso il quale avrebbe dovuto individuare le superfici accessorie che non determinano volumetria, NON è autorizzato a NON considerare che dalla volumetria complessiva del fabbricato di progetto dovrebbero essere detratte le volumetrie derivanti dalle superfici accessorie, come elencate dalla definizione n. 15 “Superfici accessorie (SA)”.

Insomma: se non c'è attuazione della specificazione applicativa della definizione n. 46 “Volume edificabile (ve)” del RET regionale, a cascata non può esserci il 'potere' seguente.

Non è quindi la diligenza (o l'inerzia) dell'ente locale nell'adottare l'atto di recepimento del RET, bensì il decorso del termine del 31.12.2017 - previsto dalla L.R. n. 11/2017 - la discriminante per affermare che l'intervento proposto dalla ricorrente avrebbe dovuto essere valutato alla luce delle definizioni contenute nel Regolamento edilizio-tipo (in particolare delle definizioni n. 46 sul volume edificabile e n. 15 sul volume accessorio).

Autorità comunale e Regolamento edilizio tipo: i rapporti e le definzioni uniformi

Ricapitolando: i comuni, in sede di recepimento del RET, hanno il potere di individuare le superfici suscettibili di esclusione o meno dal calcolo della volumetria a fini edificabili; ciò significa soltanto che, quando il Comune riterrà di adottare apposito atto di recepimento del RET, potrà esercitare i poteri riservati ad esso dalla disciplina regionale.

Attenzione a questo passaggio.

Nella Relazione dell'Ufficio tecnico comunale versata in atti, si legge che "Considerato che ad oggi il Comune di ... non ha ancora adeguato il proprio Regolamento Edilizio al RET regionale, di fatto rende applicabili le definizioni uniformi del RET regionale, al netto di quelle, come in caso della definizione n. 46 ‘Volume edificabile’, che nella specificazione applicativa potrebbero comportare modifiche al vigente strumento urbanistico". Secondo tale prospettazione, pertanto, dopo il 31.12.2017, in assenza di atto di recepimento comunale, le definizioni uniformi del RET sarebbero applicabili di fatto, ma non tutte.

Tale tesi non può essere condivisa, poiché essa non tiene conto del fatto che non è possibile selezionare arbitrariamente alcune definizioni uniformi e differirne l'entrata in vigore rispetto ad altre, poiché le definizioni uniformi sono tra loro collegate e si richiamano reciprocamente, in modo che subordinare a un atto comunale l'entrata in vigore della definizione di “Volume Edificabile” implicherebbe inibire anche l'entrata in vigore di altre definizioni uniformi che, per poter essere applicate, richiederebbero quella di Volume Edificabile, quali ad esempio la n. 3 “Indice di Edificabilità Territoriale (Ift)”, recante la “Quantità massima di superficie o di volume edificabile su una determinata superficie territoriale”, ovvero la n. 4 “Indice di Edificabilità Fondiaria (If)”, recante “Quantità massima di superficie o di volume edificabile su una determinata superficie fondiaria”.

Insomma: non esiste alcun fondamento normativo né argomentativo al quale poter ancorare la sopracitata tesi comunale, se si considera che l'Intesa ai sensi dell’art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003 n. 131, tra il Governo, le Regioni e i Comuni - con la quale è stato approvato lo schema di Regolamento edilizio-tipo (RET) e gli allegati con le definizioni-standard in edilizia di cui all’art. 4, comma 1-sexies, del dpr 380/2001, ed all'art. 2 “Modalità e termini di attuazione” - non distingue tra le varie definizioni uniformi, allorquando al comma 3 secondo periodo, prevede che “Decorso il termine di cui al primo periodo entro il quale i Comuni sono tenuti ad adeguare i propri regolamenti edilizi, le definizioni uniformi e le disposizioni sovraordinate in materia edilizia trovano diretta applicazione, prevalendo sulle disposizioni comunali con esse incompatibili”.

No a valutazioni postume

I giudici amministrativi sottolineano che la deduzione comunale secondo cui, ove fosse applicabile la definizione n. 46 del RET al progetto della società ricorrente, allora anche nella misurazione della volumetria preesistente del fabbricato demolito la ricorrente non avrebbe dovuto conteggiare le superfici accessorie, introduce un’inammissibile motivazione postuma e, soprattutto, non considera che la definizione uniforme n. 46 del R.e.t. non può invocarsi per misurare un volume già edificato di un fabbricato preesistente, avendo quest'ultima definizione per oggetto il “Volume edificabile (Ve)”, intesa come “massima volumetria di progetto ammissibile”, mentre il conteggio di un volume preesistente è disciplinato della definizione uniforme n. 19 recante “Volume totale o volumetria Complessiva (V)” che così recita: “Volume della costruzione costituito dalla somma della superficie totale di ciascun piano per la relativa altezza lorda”.

I 30 giorni di stacco tra presentazione SCIA e indicazioni comunali

Infine, va detto che i provvedimenti gravati sarebbero, in ogni caso, illegittimi per un’altra ragione, vale a dire per aver il Comune resistente violato l’art. 19, commi 3, 4 e 6 bis della legge n. 241/1990. Come chiarito da Consiglio di Stato, nella pronuncia 30 marzo 2016 n. 433, la PA, anche dopo il decorso dei gg. 30 dalla presentazione della SCIA, dispone, ai sensi del comma 4 dell'art. 19 legge n. 241/1990, degli stessi poteri, di tipo inibitorio, repressivo o conformativo, previsti dal comma 3 dello stesso art. 19, sebbene temperati dalla necessaria sussistenza delle condizioni di cui all'art. 21-nonies.

Il comune avrebbe cioè dovuto rispettare quanto previsto dal secondo periodo del comma 3, ovvero “qualora sia possibile conformare l’attività intrapresa e i suoi effetti alla normativa vigente, l’Amministrazione competente, con atto motivato, invita il privato a provvedere prescrivendo le misure necessarie con la fissazione di un termine non inferiore a trenta giorni per l’adozione di queste ultime”.

Nella fattispecie, inerendo le problematiche sollevate a presunti “maggiori volumi” previsti nella scheda urbanistica di progetto e tuttavia non ancora realizzati, essendo i lavori, all'epoca del sopralluogo della P.A. richiamato nell'impugnata ordinanza n. 7/2019, nel seguente stadio “era stata realizzata l'intera struttura in c.a. senza esecuzione delle tompagnature esterne”, l'utilizzo del potere conformativo non solo era possibile, ma avrebbe consentito un equo contemperamento tra l'interesse del privato a conservare l'edificazione già realizzata - pur modificando il programma dell'edificazione ad eseguirsi - e l'interesse della PA alla conformità dell'edificazione alle norme urbanistiche.

Conclusioni

 

Il dispositivo di questa sentenza è davvero notevole in quanto interessa tutti gli attori dell'edilizia: liberi professionisti, enti locali, regioni. Si potrebbero ottenere due massime:

  • le definizioni uniformi sono tutte collegate tra loro e si richiamano reciprocamente;
  • non è possibile selezionarne arbitrariamente alcune e differirne l'entrata in vigore rispetto alle altre.

LA SENTENZA INTEGRALE E' SCARICABILE IN FORMATO PDF

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