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L'abuso edilizio di necessità non esiste: i paletti della Cassazione

Cassazione: la demolizione configura una legittima sanzione ripristinatoria e l'interesse con essa perseguito deve ritenersi prevalente sul diritto all'abitazione dell'immobile abusivamente realizzato

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Ci soffermiamo, oggi, sulla recente sentenza 844/2020 dello scorso 13 gennaio della Corte di Cassazione, relativa al caso di un ricorso per l'annullamento di un ordine di demolizione sulla base di una necessità degli occupanti l'abitazione. Di fatto, quindi, si torna ancora una volta sulla questione del cd. "abuso edilizio di necessità", che, stante quanto deciso dalla Corte suprema anche nel caso in oggetto, non esiste e non è mai giustificabile.

Diritto all'abitazione

Il diritto all'abitazione NON può andare contro le leggi nazionali di edificazione. Il sunto della pronuncia è questo, partendo dal presupposto che nel ricorso presentato si contestava l'ordine di demolizione per violazione del diritto all'abitazione in quanto nell'immobile in questione era abitato sia dal nucleo familiare del ricorrente che quello del suocero evidenziando l'indisponibilità di un altro diverso alloggio nonché delle necessarie risorse economiche per garantirsi un'altra abitazione.

La Cassazione parte da lontano, osservando che sul tema "diritto all'abitazione" assume rilievo l'art. 1 Prot. 1 Cedu posto a tutela del diritto di proprietà che sarebbe costituito da tre norme:

  • il comma 1 enuncia il principio del rispetto del diritto di proprietà e definisce le ipotesi di privazione della proprietà, le quali vengono subordinate alla sussistenza di determinate condizioni;
  • il comma 2 concerne la regolamentazione dell'uso dei beni riconosciuta in capo allo Stato nell'ottica del perseguimento dell'interesse generale.

Diritto alla demolizione degli abusi edilizi

Dopo aver portato svariati esempi dal mondo europeo (Turchia, Belgio, Bulgaria, Italia), gli ermellini giungono alla conclusione che dalla giurisprudenza CEDU, si ricava in primis il principio dell'interesse dell'ordinamento all'eliminazione, in luogo della confisca, delle opere incompatibili con le disposizioni urbanistiche. L'interesse dell'ordinamento nazionale è quello di abbattere l'immobile abusivamente realizzato, ripristinando l'ordine giuridico violato e garantendo il rispetto delle disposizioni urbanistiche applicabili.

Non solo: è escluso che la demolizione dell'opera abusiva possa legittimamente avvenire solo ove il condannato abbia a disposizione un alloggio alternativo, ovvero qualora a ciò abbia provveduto lo Stato, non potendosi riconoscere un diritto assoluto all'inviolabilità del domicilio e, dunque, dell'abitazione, tale da precludere l'esecuzione dell'ordine di demolizione dell'opera abusiva.

Ciò che invece è indefettibile è una valutazione, caso per caso, finalizzata al bilanciamento del diritto del singolo alla tutela dell'abitazione e dell'interesse dello Stato ad impedire l'esecuzione di interventi edilizi in assenza di un regolare titolo abilitativo, ossia in altri termini gli interessi tutelati mediante la concreta applicazione della normativa in materia edilizia e territorio.

Abusi edilizi di necessità: le conclusioni

In definitiva:

  • l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio, posto che, non essendo desumibile la sussistenza di alcun diritto "assoluto" ad occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma in concreto il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato e a ripristinare l'equilibrio urbanistico-edilizio.
  • l'ordine di demolizione non costituisce una sanzione penale, bensì una misura funzionalmente diretta al ripristino dello status quo ante, la cui non esecuzione è limitata ad ipotesi specificamente individuate dal legislatore (come la c.d. fiscalizzazione ai sensi dell'art. 34 del dpr 380/2001);
  • nel caso in esame, la demolizione ordinata non può essere considerata sproporzionata rispetto all'interesse del singolo, tenuto conto, come rilevato dal giudice dell'esecuzione, che essa concerne unicamente una porzione dell'opera, ossia un suo ampliamento, e non essa nella sua interezza ("gli abusi edilizi accertati riguardano unicamente interventi di ampliamento rispetto al fabbricato preesistente ... tale unità immobiliare originaria...è composta da 5 vani; conseguentemente l'ordine di demolizione impartito dall'a.g., siccome riguardante solo gli interventi in ampliamento, non pregiudica affatto il diritto all'abitazione, che continuerebbe legittimamente ad esplicarsi rispetto al fabbricato preesistente, non interessato dall'ordine di demolizione").

La fiscalizzazione non è una sanatoria edilizia

Per quel che riguarda la cd. fiscalizzazione dell'abuso edilizio (art.34 comma 2 dpr 380/2001), partendo dal presupposto che, per il ricorrente "l'eventuale demolizione dei corpi di fabbricati 1 e 2 ... comporterebbe un indubbio danneggiamento dell'immobile", tale fiscalizzazione - precisa la Cassazione - operante ove la rimozione della porzione abusiva del manufatto realizzato non possa avvenire senza pregiudizio per la restante parte, eseguita in conformità, prevede che il dirigente ovvero il responsabile dell'ufficio comunale competente possa procedere alla determinazione di una sanzione pecuniaria, sostitutiva della eliminazione delle parti realizzate abusivamente.

E' una procedura eccezionale, possibile nell'ipotesi in cui sussista solo una parziale difformità, al netto del limite di tolleranza individuato dall'ultimo comma del medesimo art. 34, la cui percentuale ha quale parametro di riferimento "le misure progettuali" fra quanto oggetto del permesso a costruire e quanto invece realizzato.

La fiscalizzazione, qundi, non è configurabile come una sanatoria dell'abuso edilizio, la quale estingue il corrispondente reato. La "fiscalizzazione", infatti, non integra una regolarizzazione dell'illecito, né ovviamente autorizza il completamento delle opere realizzate, venendo le parti abusive tollerate, nello stato in cui si trovano, solo in funzione di conservazione di quelle realizzate legittimamente.

Detto questo:

  • relativamente alla negata applicazione dell'art. 34 TUE, dal testo della ordinanza si evince che il consulente tecnico del ricorrente non ha fornito dati scientificamente attendibili idonei a dimostrare l'effettiva incidenza della demolizione parziale sull'intero immobile;
  • l'art. 34 non è comunque applicabile al caso di specie poiché l'opera abusiva realizzata non risultava (solo) difforme parzialmente dal titolo abilitativo previamente rilasciato, ma che la medesima difettava del necessario permesso di costruire, configurandosi pertanto una ipotesi non riconducibile - secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione - all'art. 34 TUE.

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