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Interrelazioni tra strati impermeabili e pavimentazioni cementizie monolitiche

Lo scopo di questo articolo è quello di cercare, almeno per gli elementi e strati più trascurati e dimenticati, di spiegare la loro funzione e il perché essi sono assolutamente indispensabili per la corretta funzionalità del sistema impermeabile.

Elementi e strati secondari in un sistema impermeabile realizzato con membrane flessibili prefabbricate, con particolare riferimento a quelle in bitume polimero

Gli elementi e strati che compongono un sistema impermeabile si possono distinguere in due diversi gruppi (vedere Norma UNI  8178-2):

  • elementi e strati primari” che sono quelli sempre presenti in un sistema impermeabile quali: elemento portante, strato di pendenza, strato di controllo del vapore (sempre necessario in caso di presenza di elemento termoisolante posto all’intradosso dell’elemento di tenuta), elemento termoisolante (presente o meno, quindi più correttamente andrebbe inteso come “strato termico della copertura”), elemento di tenuta (conosciuto anche come strato impermeabile).
  • elementi e strati secondari” che sono quelli che possono essere presenti o meno in un sistema impermeabile, in funzione della tipologia della copertura da realizzare, ma che sono comunque assolutamente necessari per garantire la funzionalità del sistema impermeabile, secondo la destinazione d’uso richiesta e secondo la protezione pesante fissa o mobile prevista.

Purtroppo gli elementi secondari sono spesso addirittura ignorati o dimenticati, quasi fossero degli “optional” oppure, ancora più spesso, sono posizionati nella sequenza della stratigrafia in modo errato e/o proprio sbagliati come scelta di prodotto, in quanto non ne viene compresa la corretta funzione all’interno del sistema impermeabile.

Lo scopo di questo articolo è quello di cercare, almeno per gli elementi e strati più trascurati e dimenticati, di spiegare la loro funzione e il perché essi sono assolutamente indispensabili per la corretta funzionalità del sistema impermeabile.

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La necessità di stabilizzazione di un sistema impermeabile nel suo complesso


La mancanza di stabilizzazione generata da memoria dimensionale della membrana

Durante la produzione delle membrane, l’armatura (NT di poliestere, stabilizzato o meno) viene “tirata”, all’interno della linea, con notevole e velocità (anche oltre 3000 m/ora, ma alla fine degli anni 70 la velocità di produzione era notevolmente più bassa 300-350 m/ora) e questo comporta un leggero allungamento iniziale dell’armatura per stiramento della stessa in fase di trascinamento, che permane in fase d’impregnazione della mescola e viene poi “bloccato” in fase di arrotolamento e confezionamento del telo.

Questo allungamento dell’armatura causa “una memoria dimensionale” all’interno del telo della membrana che rimane congelata nella confezione del rotolo (bloccata dall’attrito tra le spire).

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Una volta steso il rotolo, se questa operazione avviene durante un periodo caldo dell’anno, la membrana surriscaldata dall’irraggiamento solare rammollisce e quindi già in corso d’applicazione, si genera un parziale ritiro (solo in senso longitudinale) del telo, per effetto della memoria dimensionale dell’armatura.

Se la stesura del telo avviene durante un periodo freddo dell’anno, la mescola della membrana rimane “congelata” e il telo non subisce, per il momento, alcun ritiro longitudinale.

La memoria dimensionale della membrana, indicata nelle schede tecniche del prodotto come “stabilità dimensionale a caldo” (Norma UNI 1107-2) varia a seconda della tipologia d’armatura utilizzata per la produzione della membrana.

È infatti maggiore con armature in NT di poliestere (0,7-0,5 % - cioè da 5 a 7 cm su un telo di 10 m) ed è minore con armature in NT di poliestere stabilizzate con filamenti di vetro longitudinali o bidirezionali (0,2-03 % - cioè da 2 a 3 cm su un telo di 10 m).

Se la membrana è correttamente “stabilizzata” (vincolata al piano di posa) il ritiro del telo, anche successivamente al periodo di posa, durante i mesi più caldi dell’anno, non avviene, oppure avviene in modo infinitesimale e quindi accettabile, ma se la membrana per qualsiasi motivo non è correttamente stabilizzata, il ritiro del telo può causare grossi problemi, in particolare se l’elemento di tenuta è posato a vista (es. membrane autoprotette con granuli minerali), ma anche se il sistema impermeabile è zavorrato con protezioni pesanti mobili (ghiaia, autobloccanti, pavimentazione galleggiante, ecc.).

Il Codice di Pratica delle impermeabilizzazioni IGLAE, prescrive infatti di utilizzare sempre “membrane dimensionalmente stabilizzate con filamenti di vetro longitudinali o meglio bidirezionali” tutte le volte che l’elemento di tenuta è posato senza protezione o autoprotezione o con protezione pesante mobile, limitando l’uso di membrane armate con NT di poliestere non stabilizzato solo nei casi in cui l’elemento di tenuta sia protetto con una pavimentazione pesante fissa (pavimentazione stradale, massetto di tipo industriale, pavimentazione in piastrelle incollate su sottofondo cementizio, ecc.), dove il peso, ma soprattutto la rigidità della protezione contribuisce alla stabilizzazione dell’elemento di tenuta.

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Ritiro longitudinale del telo di membrana in bitume polimero dovuto alla memoria dimensionale dell’armatura quando non è correttamente stabilizzata

A titolo di curiosità si sono avuti comunque problemi di fessurazioni su pavimentazioni di viadotti stradali realizzate in conglomerato bituminoso, di tipo stradale, a forte spessore, dove la membrana in bitume polimero non era stata stabilizzata in modo corretto, ma posata praticamente in semiaderenza o peggio.

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Fessurazione presente in una pavimentazione in conglomerato bituminoso su un viadotto stradale, per mancanza di corretta stabilizzazione delle membrane dell’elemento di tenuta; si notano le fessurazioni della pavimentazione in corrispondenza delle giunzioni di testa dei teli

La mancanza di stabilizzazione crea una patologia conosciuta dagli “addetti ai lavori” come “reptazione” ed è sicuramente molto visibile su coperture con elemento di tenuta a vista, dove la memoria dimensionale dei teli causa durante il periodo più caldo dell’anno, una traslazione delle membrane verso il centro della copertura (un po’ come avviene quando si pizzica una tela di pittore al centro), con conseguente formazione di ondulazioni, più o meno accentuate, che partono diagonalmente dai punti fissi della copertura (angoli, camini, corpi emergenti, ecc.).

Il fenomeno di reptazione si genera quindi soprattutto durante i periodi più caldi dell’anno (quando la mescola è più calda), in particolare nei primi anni d’esercizio della copertura e ha una forza notevole, tanto che le ondulazioni sono in grado di sollevare anche eventuali protezioni mobili, posate sull’elemento di tenuta.

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La reptazione è causata dal ritiro longitudinale del telo della membrana in bitume polimero, l’elemento di tenuta si sposta verso il centro della copertura creando ondulazioni ad andamento diagonale; l’effetto è simile a quello che capita ad una tela da pittore quando viene pizzicata al centro

In corrispondenza delle giunzioni laterali tra i teli, queste ondulazioni creano delle tensioni con azione di forza “a peeling” che possono causare il distacco puntuale delle giunzioni e generare infiltrazioni d’acqua che andranno a peggiorare ulteriormente la stabilizzazione dell’elemento di tenuta al piano di posa, destabilizzando sempre più l’elemento di tenuta.

Come già accennato una corretta stabilizzazione dell’elemento di tenuta al piano di posa (incollaggio a caldo o a freddo in totale aderenza o fissaggio meccanico sotto sormonta o sistemi misti, garantisce perfettamente la stabilità dell’elemento di tenuta all’interno del sistema impermeabile se ovviamente quest’ultimo è applicato a sua volta su elementi o strati a loro volta correttamente vincolati (stabilizzati) (barriera vapore, pannelli termoisolanti, ecc.) al piano di posa primario (massetto delle pendenze o solaio di copertura).

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Fenomeni di “reptazione” ad andamento diagonale su coperture

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Le tensioni causate dalla reptazioni innescano forze a “peeling” in corrispondenza degli incroci tra le ondulazioni e le giunzioni dei teli, con conseguente distacco delle sormonte

Il concetto di “totale aderenza” di un elemento o strato costituente il sistema di copertura non va inteso in senso letterale, ma in senso più generale.

Nota tratta dal Codice di Pratica IGLAE, riguardante la totale aderenza:

L’effettiva percentuale di superficie di aderenza (per incollaggio a freddo o a caldo) di un elemento o strato su un piano di posa (costituito da un altro elemento o strato o dal supporto di base) è infatti determinata dalla composizione della mescola in bitume (plastomerica, elastoplastomerica o elastomerica), dalla finitura della sua faccia inferiore, nonché dalla composizione del piano di posa, dalla finitura e dalla preparazione della sua faccia superiore (granulosità), dalla metodologia di posa utilizzata, dalle condizioni atmosferiche in cui viene operata la lavorazione,  dall’umidità presente sul piano di posa e anche (non ultima per importanza) dall’abilità dell’Operatore…

Nota tratta dalla Norma UNI 11442, riguardante la totale aderenza:

Il riferimento di calcolo di resistenza a trazione perpendicolare al supporto, per unità di superficie, per supporti di calcestruzzo o di legno e per membrane in bitume polimero posate secondo le corrette regole dell'arte in adesione totale, è pari ad almeno 20 kN/m2 (corrispondente a circa 2000 kg/m2) con il 100% effettiva di adesione. Nel caso di superficie di adesione inferiore, il valore da utilizzare deve essere rapportato in maniera direttamente proporzionale al valore indicato (20 kN/m2). Ad esempio, per superficie di adesione effettiva pari al 20%, può essere utilizzato il valore di 4 kN/m2 (corrispondente a circa 400 kg/m2).

A titolo informativo, la precedente frase scritta ovviamente in “linguaggio UNI” (come al solito un po’ criptico) significa che come minimo la percentuale di superficie effettivamente in adesione deve essere sempre ≥ al 20% con una resistenza ad estrazione pari a un valore sempre ≥ 4 kN/m2 (corrispondente a circa 400 kg/m2).

Da quanto indicato precedentemente si intuisce che le membrane in bitume polimero subiscono una variazione dimensionale termica negativa (ritiro longitudinale) con l’innalzarsi delle temperature; variazione dimensionale questa che però non ritorna alla situazione iniziale con l’abbassarsi delle temperature.

Tutti gli altri materiali con cui vengono a contatto diretto le membrane, sia in aderenza che in indipendenza (es. pannelli termoisolanti, massetti cementizi, protezioni pesanti mobili e fisse), sono invece caratterizzati dalle variazioni dimensionali termiche positive (allungamento sia longitudinale che trasversale) con l’innalzarsi delle temperature; variazione dimensionale questa che oltretutto ritorna alla situazione iniziale con l’abbassarsi delle temperature.

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