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A chi fa paura il BIM?

Uno degli argomenti di maggiore interesse che riguardino la digitalizzazione nel settore della costruzione e dell’immobiliare si potrebbe riassumere con efficacia nella domanda che origina il titolo della riflessione: esiste, in effetti, un tempo lungo per cui il fenomeno possa restare al vertice degli intenti degli operatori del mercato?

La risposta sta, ovviamente, nel potenziale trasformativo che la digitalizzazione possa avere sul mercato stesso.

ANGELO-CIRIBINI-03.jpgPer un verso, infatti, la sensazione è che, al momento, si stiano digitalizzando processi puramente analogici, si stia, vale a dire, cercando di ricondurre il futuro al passato.

Da un altro punto di vista, nonostante la crescita significativa della maturità digitale dei pionieri, delle avanguardie, in termini quantitativi, a prescindere da qualsivoglia obbligo legislativo e da qualsiasi osservatorio dei bandi e dei contratti, la diffusione dei metodi e degli strumenti digitali è piuttosto limitata.

Un elemento significativo che riguarda i soggetti più avanzati è, indubbiamente, il processo di internalizzazione delle funzioni e delle competenze che procede di pari passo con una maggiore selettività nel reclutamento delle risorse umane, causando, a sua volta, la necessità da parte dei soggetti formatori (in primo luogo coloro che erogano corsi di master universitario) a una maggiore professionalità.

Indubbiamente, l’offerta consulenziale rimane assai eterogenea quanto a provenienza (dai distributori commerciali degli applicativi a società e studi professionali specializzati in argomento), ma, con lentezza, le sedi nazionali delle consultancy, così come, a livello globale, le maggiori technology company, iniziano a interessarsi al tema, a verticalizzare.

A questo proposito, in effetti, sussiste il fatto che occuparsi di rivisitazione dei processi organizzativi e di implementazione dei dispositivi richieda background e saperi non esattamente coincidenti.

Ciò, peraltro, tanto a livello formativo quanto consulenziale, provocherà una coesistenza di soggetti che operano sul proscenio internazionale, domestico e locale, con modalità e contenuti che potrebbero, invero, rivelarsi, talora, comtraddittorî, fornendo messaggi disomogenei.

In questo senso, non si tratta certo di proporre classifiche, priorità o gerarchie, poiché, evidentemente, metodologie e strumentazioni si intersecano (come dimostrano, per prime, le piattaforme digitali utilizzate per l’ambiente di condivisione dei dati), ma occorre riconoscere che i piani siano nettamente differenziati: da un lato, porre mano alle caratteristiche strutturali del mercato e alla generazione del valore; dall’altro, introdurre flussi e apparati nella operatività quotidiana delle organizzazioni.

D’altronde, è interessante osservare in che misura e con tempi le grandi value proposition suggerite dai maggiori ICT Player del settore siano «tradotte e trasferite» sul mercato domestico.

Più in generale, sussiste un delicatissimo equilibrio tra l’intenzione di «preoccupare», per generare interesse, e «consolare» per non provocare ansia negli operatori.

È, inoltre, da ammettere, peraltro, che il grado di internalizzazione abbisogna ancora fortemente, per molti organismi, di supporti esterni per alcune attività: dal supporto alla redazione dei documenti di una procedura competitiva, quando ciò non avvenga per emulazione diretta della documentazione, alla mera produzione di modelli informativi.

La crescente consapevolezza delle implicazioni giuridico-contrattuali del tema ne stanno, poi, allargando ulteriormente il campo di applicazione, così come l’ampliamento dei dispositivi (dai droni alla realtà immersiva, dalle stampanti 3D alla robotica).

In definitiva, uno degli ambiti di adozione più promettenti, nonostante la meritoria proposizione degli accordi collaborativi, appare la coltivazione del contenzioso, cosicché, in via di paradosso, ad esempio, la traslazione in modelli informativi di progetti analogici si è rivelata, in più occasioni, approccio prezioso per ottenere importanti risultati.

Sul piano formativo si riscontra una, sia pur timida, diffusione dell’alfabetizzazione sugli strumenti nei primi anni dei corsi di studio della scuola superiore, degli istituti tecnici superiori e delle università, oltre a una offerta informativa, e parzialmente formativa, a livello territoriale, che farebbe da ideale compendio alla proposta post lauream.

Il problema qui, tuttavia, risiede nel fatto che la proposta sia spesso tendenzialmente solo strumentale (privandola di un orizzonte di senso metodologico decisivo) e che gli applicativi oggetti di insegnamento siano essenzialmente, inevitabilmente, quelli di BIM Authoring, ma, di là della constatazione che lo spettro degli applicativi dedicati vada ormai ben oltre, si comprende oggi che la «cultura del dato» implicherebbe una impostazione totalmente differente che, peraltro, potrebbero offrire solo i rarissimi atenei in cui viga una stretta collaborazione tra Scuole di Architettura e Ingegneria Civile/Edile e Scuole di Ingegneria dell’Informazione (e di Meccanica).

Nell’ambito, ancora, della ricerca e del trasferimento tecnologico, non sempre si è data una sinergia stretta tra i centri di competenza accademici che, comprensibilmente, cercano di raccogliere interesse e risorse premettendo alle proprie proposte il fatidico acronimo quale prefisso che funga da parola chiave.

Un esempio edificante in merito è stato offerto dal programma di ricerca sulle piattaforme digitali recentemente finanziato dal MIUR, frutto della collaborazione di alcuni atenei impegnati sul tema.

Queste brevi considerazioni non hanno, palesemente, alcuna ambizione di esaustività e sicuramente possono incontrare opinioni divergenti, ma, in realtà, la vera questione concerne il passaggio epocale a un vero e proprio acculturamento digitale, cioè industriale, del comparto.

Se, infatti, la progressiva diffusione della digitalizzazione attesa nel prossimo lustro, o più probabilmente, nel prossimo decennio, si limitasse a un problematico efficientamento delle prassi tradizionali si potrebbe immaginare che il fenomeno si banalizzi, sia assorbito, non certo rigettato, e, in ultima analisi, completamente neutralizzato nella sua carica eversiva, da taluni definita «rivoluzionaria».

Qualora, al contrario, si desse luogo a processi realmente trasformativi delle logiche, delle identità e degli equilibri, tutte le parti in causa (decisori pubblici, istituzioni finanziarie, rappresentanze, accademie e affini) dovrebbero avviare una strategia che desse vita e che orientasse una autentica politica industriale.

La medesima questione della regolamentazione dei profili professionali, oggi racchiusa nell’ambito specifico, è destinata a essere rimessa in discussione allorché informazione e decisione si sovrappornessero, allorché gli attori dei processi decisionali avessero interiorizzato le logiche informative.

Come testimonia l’iteratività, la circolarità, tra processi pre-normativi, normativi e post-normativi, la materia resta molto fluida (si pensi alla dilatazione del Built Asset alla Smart City) e, sullo sfondo, insistono i grandi interrogativi che investono la digitalizzazione della società e della politica incombono.

Che cosa vi sia nello iato creato tra coloro che si trovano «oltre il BIM» e coloro che stiano «prima del BIM» rappresenta, infatti, la maggiore sfida che, in fondo, evidenzia potenzialità e limiti dell’acronimo, come si evince anche dalla disponibilità di una sterminata pubblicistica che, in assenza di agenzie di riferimento, aiuta scarsamente gli operatori a orientarsi e a comprendere.

A fronte di ingenti investimenti, urge, perciò, definire le metriche per valutarne i ritorni.

Non per nulla, internazionalmente, proliferano i criteri di valutazione della maturità digitale delle organizzazioni.

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