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Compatibilità paesaggistica postuma: dentro anche i volumi interrati! La sentenza

Tar Campania: in materia di compatibilità paesaggistica postuma, il divieto di incremento dei volumi esistenti si riferisce anche ai volumi interrati

Volumi interrati sottoposti a compatibilità paesaggistica postuma

In materia di compatibilità paesaggistica, non conta che i manufatti siano seminterrati, essendo il regime della tutela paesaggistica indifferente alla circostanza che trattasi di volumi fuori terra o interrati, che in ogni caso non possono conseguire l’assenso paesaggistico se realizzati in assenza della preventiva autorizzazione (cfr., in tema di compatibilità paesaggistica postuma, la sentenza della Sezione del 30/8/2018 n. 5309: “il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, si riferisce infatti a qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume, sia esso interrato o meno...”).

Il 'paletto' viene ricordato e sottolineato chiaramente dal Tar Campania nella recente sentenza 762/2019 dello scorso 12 febbraio, che ha respinto il ricorso di un privato contro il rigetto, da parte del comune, della richiesta di permesso di costruire in sanatoria per un compendio immobiliare avente destinazione a parcheggio autoveicoli e a camping, pervenutole per atto di divisione del 25/2/2013 e, in precedenza, appartenente in comune alla [omissis], la quale aveva realizzato, in assenza di titoli edilizi, sei nuovi bungalow turistici, per una superficie totale di circa mq. 76, per i quali venne l’istanza di permesso a costruire in sanatoria, ai sensi della legge 326/2003.

Compatibilità paesaggistica postuma: i punti fermi

Il Tar inizia osservando che la domanda di condono edilizio presentata il 23/4/2004, ai sensi del decreto-legge n. 269 del 2003 convertito con legge n. 326 del 2003, è relativa (come indicato nell’impugnato diniego) “ad opere consistenti nell’ampliamento funzionale ad attività turistico-ricettiva”.

Si tratta in particolare di “un terraneo, costituito da n° 6 camere ricavate dalla delimitazione di una superficie già sottesa da un porticato, quale pertinenza di un avviata attività turistico-ricettiva denominata 'camping Pompei'. La superficie utile coperta è di mq 76,40 circa e il volume abitabile complessivo è di mc 237,00 circa”, rientrante nella tipologia 1 dell’allegato 1 alla legge n. 326 del 2003 (cfr. la relazione tecnica).

Le ricorrenti adducono che i manufatti sono seminterrati e hanno un solo lato fuori terra, corrispondente alla parete perimetrale sud sulla quale si aprono le porte d’ingresso e bungalow e le finestre. Inoltre, nel 2014 è stata rilasciata (su parere positivo della Soprintendenza) l’autorizzazione paesaggistica per la riqualificazione dell’intera struttura ricettiva, comprendente anche i bungalow oggetto della domanda di condono.

Per i giudici amministrativi il ricorso, articolato in quattro motivi, è infondato poiché il diniego si fonda sul contrasto con il vincolo paesaggistico e che si tratta di opere con creazione di nuovi volumi.

Quindi, nello specifico:

  • non conta che i manufatti siano seminterrati, essendo il regime della tutela paesaggistica indifferente alla circostanza che trattasi di volumi fuori terra o interrati, che in ogni caso non possono conseguire l’assenso paesaggistico se realizzati in assenza della preventiva autorizzazione
  • non conta neppure che, successivamente alla presentazione dell’istanza di condono, la Soprintendenza abbia valutato favorevolmente i lavori di riqualificazione del complesso e il Comune abbia rilasciato l’autorizzazione paesaggistica, non potendosi per ciò ritenere che le opere siano suscettibili di conseguire il condono ai sensi della legge n. 326 del 2003, ma dovendosene vagliare la compatibilità esclusivamente con riferimento ai presupposti di fatto e di diritto ammessi dalla norma per la sanabilità.

Terzo condono edilizio: riepilogo delle regole

Il Tar va avanti, evidenziando che detto ciò, nel caso del c.d. “terzo condono”, è noto che l’art. 32, commi 26 e 27, del decreto-legge n. 269 del 2003, ha fissato limiti più stringenti, essendo necessario che si tratti di opere realizzate prima dell’imposizione del vincolo, conformi alle prescrizioni urbanistiche e rientranti nelle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell’allegato 1 del decreto-legge n. 269 del 2003, senza quindi aumento di superficie (come ripetutamente ribadito nella giurisprudenza, anche di questa Sezione: cfr. per tutte, la sentenza del 5/10/2018 n. 5813; conf., 14/11/2018 n. 6611).

Giova ripetere che:

  • l’art. 32, comma 27, lett d), della legge n. 326/03 esclude che possano conseguire il condono le opere “realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”;
  • il vincolo in questione fissa una preclusione assoluta, per cui non necessita l’intervento dell’Autorità preposta alla relativa tutela, che alcuna valutazione potrebbe compiere (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 17/9/2013 n. 4619: “La legge n. 326/2003, infatti pur collocandosi sull’impianto generale della legge n. 47, norma (col cennato art. 27) in maniera più restrittiva le fattispecie di cui si tratta, poiché con riguardo ai vincoli ivi indicati (tra cui quelli a protezione dei beni paesistici) preclude la sanatoria sulla base della anteriorità del vincolo senza la previsione procedimentale di alcun parere dell’autorità ad esso preposta, con ciò collocando l’abuso nella categoria delle opere non suscettibili di sanatoria (ex art. 33 l. n.47/85)”).

Dopo aver richiamato altre pronunce del Consiglio di Stato dello stesso tenore, il Tar chiude affermando che il diniego si fonda quindi legittimamente sul contrasto ravvisato dal Comune con il vincolo paesaggistico, il che rende superfluo l’esame delle censure relative alle altre ragioni di diniego, non essendo ciò sufficiente a poter determinare l’illegittimità del provvedimento, considerando che, nel caso di provvedimento affidato a più ragioni giustificatrici, è sufficiente che una sola di esse superi il vaglio giurisdizionale (giurisprudenza consolidata; cfr., per tutte, da ultimo la sentenza di questa Sezione del 3/10/2018 n. 5782: ''“In caso di provvedimento plurimotivato, il rigetto di doglianza volta a contestare una delle ragioni giustificatrici comporta la carenza di interesse della parte ricorrente all'esame delle ulteriori doglianze volte a contestare le altre ragioni giustificatrici, atteso che, seppur tali ulteriori censure si rivelassero fondate, il loro accoglimento non sarebbe comunque idoneo a soddisfare l'interesse del ricorrente ad ottenere l'annullamento del provvedimento impugnato, che resterebbe supportato dall'autonomo motivo riconosciuto sussistente” (T.A.R. Campania - Napoli, sez. III, 22/10/2015, n. 4972) ed inattaccabile.'').

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