Data Pubblicazione:

Ricostruzione post sisma della Basilica di San Benedetto di Norcia: l’ “ingegnerofobia” del MiBACT

Un commento del Prof. Antonio Borri sulla mancanza di Ingegneri nella commissione istituita dal MIBACT

ANTONIO-BORRI---INGENIO-001.jpgCondivido le “perplessità” sollevate per il caso in questione (link all’articolo di Andrea Dari) e mi permetto di aggiungere che l’assenza di un ingegnere nella commissione per la Basilica di San Benedetto è solo l’ennesimo, ulteriore tassello che si aggiunge al quadro della ingegnerofobia del Ministero per i Beni Culturali (o meglio, dei suoi dirigenti).

Infatti, anche se a valle di tutto il percorso di ricostruzione si chiederà agli ingegneri di assumersi (loro e solo loro, gli ingegneri) la piena responsabilità sulle condizioni di sicurezza della chiesa ricostruita, in questa fase (fondamentale) di definizione dei criteri generali per la progettazione dell’intervento (e quindi di scelte decisive per le suddette condizioni di sicurezza) non si è voluto riconoscere agli ingegneri il diritto di proporre il loro punto di vista.

Ricostruzione della Basilica di San Benedetto: un problema complesso

Il fatto è ancor più grave perché, se c’è un problema strutturalmente difficile e complesso, è proprio quello della ricostruzione parziale di una chiesa devastata, come nel caso in questione, con lacerti e resti incongrui” di problematica salvaguardia. 

SAN-BENEDETTO-estesa.jpg

Un ingegnere, in quella commissione, avrebbe certamente sostenuto con fermezza le esigenze della sicurezza, ovvero la necessità di interventi che possano consentire di affrontare con serenità i sismi futuri. Se si volesse pensare male (però, per dirla alla Crozza, io non credo che sia così …) forse era proprio questo che il Ministero voleva evitare ... 

Comunque sia, a quanti si fossero dimenticati della rilevanza del tema “sicurezza” occorre ricordare che solo il caso ha evitato la morte di quanti si fossero trovati dentro le innumerevoli chiese crollate nei sismi recenti. 

In Emilia, ad esempio, c’è mancato davvero poco: il 20 maggio 2012 era domenica e le chiese sarebbero state gremite per le tantissime funzioni religiose (comunioni, matrimoni) di quella giornata. Per fortuna, il sisma è arrivato prima dell’alba (ore 4.03) e le chiese erano ancora vuote. È andata bene, ma solo per un pelo …

Una priorità per la sicurezza delle persone

Ma cosa deve succedere perché ci si ponga il problema della incolumità di chi frequenta questi edifici?

Davvero bisogna aspettare che muoiano delle persone perché si comprenda che le vite umane sono più importanti dell’eventuale “perdita di valore storico-artistico” derivante da interventi strutturali efficaci?  

E laddove queste perdite di valore fossero così intollerabili, non è il caso di chiudere quelle costruzioni o limitarne la fruibilità, invece di lasciare che quanti frequentano quegli edifici siano sottoposti a rischi così elevati?

D’altra parte, i risultati di questi decenni di miglioramento sismico (omeopatico) delle chiese li abbiamo visti. Per colpa di una “malintesa applicazione delle discipline del restauro, teoretica prima ancora che pratica (vedi la ‘fissazione’ acritica sulle sole 'tecniche tradizionali’, con la chiusura ad ogni altra possibilità di intervento)” si sono lasciate crollare centinaia e centinaia di chiese.

Con questo approccio “conservativo” in realtà non si è riusciti a conservare un bel nulla, e sono andate distrutte costruzioni ed opere per le quali erano state spese somme ingenti per il ‘restauro', spesso solo per “l'incapacità di mettere le cose in ordine d'importanza e d'urgenza (da cui la cura, risultata poi inutile, per le superfici e le manifestazioni di degrado della 'pelle' dei monumenti, prima di quella per la realtà muraria che sorregge tali superfici e, in molti casi, i relativi affreschi)”. (Tra virgolette, in corsivo, ho riportato quanto mi ha scritto – privatamente – un collega, professore di Restauro).

La vicenda della commissione per San Benedetto conferma in ogni caso la conclamata ingegnerofobia del Ministero, che emerge, con assoluta evidenza, dalle sue stesse strutture organizzative, dove trovare degli ingegneri è un po’ come imbattersi nel rarissimo Gibbone di Hainan (uno dei primati più rari sulla terra: meno di una trentina di esemplari!).

Facciamo il punto sulla situazione "ingegneri" all'interno degli Organi Consultivi Centrali del Ministero:

  • Consiglio Superiore dei Beni Culturali e Paesaggistici (massimo organo consultivo del Ministro, chiamato ad esprimere il proprio parere riguardo gli atti più̀ importanti del Ministero). Ingegneri membri del Consiglio Superiore: ZERO. 
  • Comitati Tecnico-Scientifici (sette diversi Comitati, organi di consulenza del Ministero e, in particolare, delle Direzioni Generali di settore). Ingegneri membri dei Comitati tecnico-scientifici: ZERO.
  • Istituti centrali, nazionali e autonomi e Organi periferici del Ministero (Segretariati regionali, Poli museali regionali, Soprintendenze):
    • Ingegneri in ruolo: 1% - 2% (stima).
    • Ingegneri tra i 587 nuovi funzionari assunti con il concorso 2016/17: ZERO.

Da qui, potrebbe sorgere anche il “vago sospetto” che gli ingegneri, nel MiBACT, proprio non ce li vogliano …

Ok, prendiamone atto. Ricordiamo però a tutti (e, prima di tutti, a noi stessi) che se oggi le chiese rimangono aperte dopo un intervento di miglioramento sismico “conservativo” è solo perché un ingegnere si è assunta la pesantissima responsabilità di firmare quella valutazione di sicurezza (obbligatoria) prevista dal punto 8.3 delle NTC. Così facendo, per dirla in modo esplicito, i rischi connessi alla “conservazione” restano in capo esclusivamente a lui.

Ritornando però al caso di San Benedetto, non si può non rilevare una totale, imbarazzante incoerenza con quei principi metodologici cui il MiBACT si richiama (e ci richiama), come il Primo Principio della CARTA ICOMOS 2003: 

“La conservazione ed il restauro del patrimonio architettonico richiedono un approccio multidisciplinare”.

Perché questo principio è stato disatteso nella composizione della Commissione per la ricostruzione di San Benedetto? Che fine ha fatto questa naturale e, per certi versi, ovvia richiesta di mettere insieme, in tutte le fasi di un percorso progettuale (e quindi, soprattutto, in quella che ne detterà i criteri metodologici) storici, architetti ed ingegneri?

Ci sono altre domande che vorrei proporre in tema di “tutela” e sicurezza dei beni culturali in zona sismica, sperando che qualcuno, prima o poi, fornisca delle risposte, ma per non annoiarvi troppo le rimando ad una prossima occasione.