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Pianificazione urbana inclusiva: l'approccio duale tra partecipazione democratica e analisi tecnica

Il valore della partecipazione dei cittadini nei processi decisionali urbani e la definizione degli squilibri urbani e regionali al fine di promuovere una pianificazione territoriale più equa e inclusiva. Questi i temi affrontati alla XIV Biennale delle città europee, organizzata dall'European Council of City Planners a Napoli.

Pianificazione inclusiva

Dal 22 al 24 aprile 2024 si tiene la XIV Biennale delle città e degli urbanisti europei organizzata dell’European Council of City Planners ed ospitata in Italia dall’Istituto Nazionale di Urbanistica con Regione Campania, Città Metropolitana di Napoli e Comune di Napoli, nella sede del Dipartimento di Architettura dell’Università Federico II con la collaborazione del Dipartimento di Architettura e Disegno Industriale dell’Università Vanvitelli.

Il tema scelto per questo confronto europeo è di grande attualità in questi giorni come confermano anche gli annunci della Biennale di Venezia: l’inclusione. Qui sarà trattata nel campo dell’urbanistica e della pianificazione territoriale dove trova radici solide e profonde che saranno ricordate per le linee più rilevanti di seguito come una prima finestra sul lavoro di grande latitudine che sarà condotto.

Sintesi delle presentazioni nei dieci workshop in sessione parallela e dei quattordici workshop speciali sarà pubblicata in un volume di INU Edizioni ed i poster sul sito della Biennale, mentre le numerose riviste partner accoglieranno lo sviluppo degli articoli scientifici più rilevanti.

 

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"Inclusive cities and regions"
è il titolo della 14^ Biennale delle città e degli urbanisti europei dell'European Council of Spatial Planners-Conseil Européen des Urbanistes (ETCP-CEU). L'evento si terrà a Napoli dal 22 al 24 aprile. Qui maggiori dettagli e come fare per partecipare. Ingenio è media partner dell'evento.

 

Evento 14th Biennale of European Towns and Town Planners. INU-Istituto Nazionale di Urbanistica
(©INU-Istituto Nazionale di Urbanistica)

  

Libertà privata e comunità

L’impegno all’inclusività nella pianificazione si collega direttamente ai fenomeni di esclusione. Senza questi ultimi non acquisterebbe il senso politico e, perfino, etico con cui si presenta per far leva sulla responsabilità dei tecnici anche oltre la protesta dei diretti interessati, ovvero degli esclusi.

Pertanto, la prima tappa su cui soffermarsi è quello della voce: nei processi decisionali che riguardano il governo del territorio quali soggetti ed interessi si esprimono con il potere di influenzarli? Rappresentano tutte le persone coinvolte o ne escludono alcune?

Queste domande non sono estranee né rare nelle prassi urbanistiche e spesso sono anche codificate nelle leggi regionali. Fa perfino capolino nella vetusta L. 1150/1942 che, nonostante il regime fascista era in grado di preservare alcuni principi cardini dello stato liberale, come quello del rispetto della proprietà privata, dando voce ai proprietari del suolo nel processo amministrativo di formazione del piano regolatore generale.

Se l’INU, in questa fase si attiene al suo profilo tecnico, con la Repubblica e la presidenza di Adriano Olivetti è suggestionata dall’utopia politico-costituzionale del suo presidente e rincorre l’ideale di una capacità degli urbanisti di rappresentare la comunità, passando dall’interesse del singolo a quella sociale, cogliendo davvero il senso dell’inclusività volendo coniugare il proprio sapere in strumento per la realizzazione del benessere collettivo sulla strada della modernizzazione industriale del paese.

L’ostacolo che si frappose a questo ambizioso disegno, con la sconfitta della riforma Sullo, non è che mirasse apertamente e direttamente all’esclusione, anzi si presentava come una difesa delle persone attraverso l’affermazione della libertà di disporre della propria proprietà, contando sulla parcellizzazione del suolo e l’attaccamento ad esso della gente comune. Ma una esclusione certamente la realizzava nei confronti dei nullatenenti immigrati recenti nelle grandi città e in cerca di abitazioni decenti per i quali, in un modo o nell’altra bisognava escogitare una politica della casa, come quella pioneristica del piano Fanfani

Già da quei tempi il modello, sebbene fuorviante, era stato quello dell’Inghilterra, perché in quel paese il suolo è dato solo in concessione dalla corona a tempo determinato. Questo modello alternativo al possesso proprietario comporta che ogni decisione di uso del suolo ha carattere pubblico e va definito con una specifica ed ulteriore concessione (questo termine, tradotto nella nostra legislazione si rivelò incostituzionale). Nell’evoluzione democratica di quel paese, la decisione passava progressivamente dal re fino alla comunità locale – l’uso del suolo è stabilito nel local plan. Ne deriva il tema politico e tecnico della correttezza e rappresentatività delle consultazioni.

   

Società civile e democrazia deliberativa

Nonostante i cambiamenti d’interesse per l’alternarsi delle emergenze un legame con questa cultura si manterrà sempre vivo, ma il prepotente ritorno all’attualità della partecipazione è segnato da altri due fattori: l’emergere della società civile e l’idea della democrazia deliberativa. Quantunque controverso è il rapporto tra società civile e politica, ancora di più lo è con il ceto politico o politici di professione e con i ruoli di rappresentanza democratica. Quello che è certo è la sua la rivendicazione di un ruolo da svolgere sulla scena pubblica.

I fautori della società civile hanno rivendicato un ruolo di integrazione sociale: senza le relazioni che si intessono al suo interno avremmo l’esplosione di numerosi conflitti tra interessi contrastanti con la disintegrazione della società. Si è raccomandato perciò il dialogo, la conversazione più diffusa per alimentare la reciproca comprensione fino a giungere alla condivisione delle scelte in maniera razionale.

L’ingresso della società civile nell’urbanistica è bifronte: da un lato cambia i processi decisionali per il governo del territorio, con diversi benefici (perlomeno secondo i suoi fautori) come il consenso pubblico sugli interventi, che supera l’alternarsi dei partiti alla guida degli enti locali e gli ostacoli che prolungano l’attuazione; dall’altro svolge un ruolo sociale d’inclusione richiedendo responsabilità a quelli che hanno partecipato alle decisioni, assicurando che le opere pubbliche non siano vandalizzate, anzi siano prese in cura.

La società civile siamo in grado di percepirla attraverso espressioni organizzate come le associazioni o gli organi d’informazione con la loro influenza sulla pubblica opinione.

Questi organismi intermedi, tra cui si colloca anche l’INU, secondo il programma del presidente Michele Talia, svolgono un ruolo indispensabile nell’istruttoria delle problematiche e nell’interazione della pubblica conversazione.

Un tale ruolo è diventato ancora più rilevante nel tempo della comunicazione interpersonale esponenziale esaltata dallo sviluppo dei mezzi di comunicazione. La facilità con cui si può mettere in pubblico (condividere) il discorso privato attraverso i social e le altre applicazioni di comunicazione disponibili confonde pubblico e privato in una ridondanza informativa che mina la capacità di dialogo della società civile sui temi di rilevanza pubblica e ne indebolisce la relazione con la società politica.

La democrazia deliberativa è ritenuta l’espressione più autentica della democrazia con esempi canonici nella storia: dalle città greche ai comuni medioevali dell’Italia centrosettentrionale fino all’autogoverno di recenti passaggi insurrezionali. La sua caducità, oltre che alle circostanze eccezionali, è attribuita al problema del numero, ovvero delle unità raccoglibili in una pubblica assemblea. Da tale limite deriva il ricorso alla rappresentanza anche se quest’ultima, con la tendenza alla specializzazione della società moderna, rischia di diventare delega totale. Ciò non esime alcuni a contrapporre la democrazia diretta, come anche la società civile, ai rappresentanti eletti nelle istituzioni di governo, con il paradosso che da strumenti d’inclusione si ribaltano in momento di conflitto e separazione.

Diverso è l’impegno a legittimare la democrazia deliberativa ogni volta che ricorrono le condizioni perché la comunità si possa esprimere in maniera compiuta e competente su decisioni di pianificazioni che direttamente la riguardano e non ledono interessi di più ampia portata. Queste si qualificano come operazioni di qualità inclusiva superiore a decisioni prese dai rappresentanti eletti in solitudine o solamente influenzati dal loro elettorato o da una sua parte maggiormente influente.

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Fonte: Associazione INU Istituto Nazionale di Urbanistica

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